• Articolo pubblicato il 22 Novembre 2016

Venerdì 25 novembre sarà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’ONU nel giorno che ricorda il massacro delle sorelle Mirabal.

Venerdì 25 novembre sarà la Giornata Internazionale per l'eliminazione violenza contro le donnePiù di cento paesi sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del 70 % delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini. Sono dati pesanti quelli che dipingono il quadro mondiale in merito al fenomeno della violenza contro le donne. Li ha resi noti Michelle Bachelet, che i più ricorderanno nel ruolo di primo presidente donna del Cile ma che ha ricoperto anche l’incarico di Direttore esecutivo dell’UN Women, agenzia istituita negli ultimi anni dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Sebbene ci siano stati  notevoli progressi nelle politiche nazionali volte a ridurre la violenza sulle donne, ha affermato la Bachelet, molto rimane ancora da fare. La violenza, inoltre, influisce negativamente sui risultati scolastici delle donne, sulle loro capacità di successo lavorativo e sulla loro vita pubblica, allontanando progressivamente le società dal conseguimento dell’obiettivo dell’uguaglianza di genere.
Questa situazione trascende le fattispecie rese note dai casi di cronaca nostrani, e ci dà una visione molto più ampia di un fenomeno che è molto più radicato e diffuso di quanto siamo portati a pensare.

Il 17 dicembre del 1999 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha istituito una giornata per ricordare le donne vittime della violenza degli uomini e per riflettere sulla strada da fare per superare la diseguaglianza di genere. La scelta della data in cui celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è ricaduta sul 25 novembre. Una data simbolica, fortemente voluta dalle donne attiviste che si riunirono nel 1981 a Bogotà, in Colombia, per l’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi. Infatti, fu il 25 novembre del 1960 che le sorelle Mirabal, Minerva, Patria e Maria Teresa, vennero torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.

Le sorelle Mirabal erano tre rivoluzionarie che si contrapponevano al regime di Rafael Leónidas Trujillo in Repubblica Dominicana. Quel 25 novembre 1960 stavano andando a trovare i propri mariti, reclusi in carcere, quando subirono un’imboscata dei militari di Trujillo. “Effettivamente è un crimine politico, ma ha una connotazione di genere molto importante – ha raccontato la figlia Minou Tavarez Mirabal all’Huffington Post – Il confronto tra Trujillo e mia madre Minerva iniziò 11 anni prima della sua morte, quando lui tentò in tutti i modi di sedurla e circuirla. Arrogante e megalomane, in quegli anni Trujillo si comportava da padrone e quando desiderava una cosa, doveva essere sua. Donne incluse. Mandava i suoi assistenti a cercare le più belle per soddisfare i suoi piaceri. Nel 1949 organizzò varie feste per incontrare mia madre, ma lei rifiutò sempre. Poi un giorno il governatore della Provincia venne a casa della mia famiglia a portare l’ennesimo invito e disse a mia nonna: “Assicurati che Minerva stia bene e in salute perché questa volta non accettiamo scuse”. Non era una richiesta, era un ordine, un obbligo. Così andò e alla festa Trujillo volle ballare con lei. Mentre danzavano, iniziò a corteggiarla e lei lo respinse ancora una volta. “Se rifiuti me, rifiuti anche il mio governo”, le disse e lei rispose che aveva ragione, non gli piaceva né lui né la sua dittatura. La leggenda racconta che lo schiaffeggiò e lo lasciò da solo in mezzo alla pista, molti confermano che sia andata così. Era inconcepibile al tempo che una donna facesse questo, che si ribellasse in questo modo”.

Solo nel 2005 l’Italia ha raccolto l’invito dell’ONU a segnare sul calendario la data del 25 novembre. Per anni la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è passata quasi in sordina, celebrata solo dai centri anti-violenza e dalle Case delle Donne. Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse dell’opinione pubblica e delle associazioni, che organizzano diversi appuntamenti  in questa giornata.

Ieri, 7 novembre, il seminario “School Plus” a Palermo ha presentato gli 8 progetti della Fondazione Con il Sud per affrontare la dispersione scolastica. Christian Elevati ha proposto il concetto di “valutazione dell’impatto” anche nell’ambito scolastico nel corso dell’appuntamento che ha affrontato il tema dell’inclusione dei ragazzi anche dopo la scuola.

Dispersione scolastica: I bandi per l'utilizzo dei 120 milioni del Fondo per il contrasto alla povertà educativa

Il tema della dispersione scolastica si intreccia con quello della povertà educativa. Il quale, a sua volta, è uno degli effetti del crescente tasso di povertà assoluta tra i minori e una delle cause della permanenza in questo stato d’indigenza. L’incontro “School Plus, dalla dispersione all’inclusione scolastica”, che si è avuto a Palermo il 7 novembre, ha recuperato le esperienze dei progetti sostenuti dalla Fondazione CON IL SUD, e realizzati nel capoluogo siciliano con il Bando Educazione Giovani 2013, con lo scopo di limitare il fenomeno della dispersione scolastica.

Da Vita non profit, riprendiamo l’intervista a Christian Elevati, esperto in programmazione e valutazione di interventi a impatto sociale che ha partecipato all’incontro con un intervento intitolato “Educazione e contrasto alla dispersione scolastica: dove stiamo sbagliando?”

Christian Elevati, dove stiamo sbagliando?
La dispersione scolastica è solo la punta di un iceberg: anche quando, con grandi fatiche, riusciamo a tenere a scuola i ragazzi e a portarli ad assolvere l’obbligo scolastico, che cosa abbiamo raggiunto? Spesso l’impatto di questo successo sulle vite dei ragazzi e sulle vite delle loro famiglie è troppo basso: escono dalla scuola ma non hanno sufficienti competenze per trovare lavoro, mentre anche quelli che si laureano studiano spesso al Nord e poi se ne vanno all’estero. Quando si fanno interventi, sia come politiche nazionali sia come strategie locali questa complessità va tenuta insieme, non si può ragionare solo in termini di portare i ragazzi a terminare gli studi, altrimenti si rischia di disperdere energie. Giustamente quindi gli organizzatori del seminario hanno messo “inclusione” nel titolo: si deve parlare di inclusione e lavorare in modo trasversale, dobbiamo portare i ragazzi non solo a terminare gli studi, ma a metterli nelle condizioni di uscire di casa (l’81% vive con i genitori), farli uscire dalla povertà (i giovani, non più gli anziani sono la fascia più fragile), farli partecipare alla vita della comunità. L’Italia non investe poco nell’istruzione e nell’educazione (soprattutto nei cicli primario e secondario), non servono più risorse, si tratta di spenderle meglio.

È l’annoso problema della dispersione delle risorse e delle esperienze contro la dispersione. È noto, ma perché non riusciamo a evitarlo?
Non si investe nell’ottimizzare le risorse. Si parla molto di valutazione di impatto, ma è un tema su cui l’Italia è ancora indietro. Le politiche vanno idealmente testate prima di attuarle su scala nazionale e l’impatto va calcolato in modo previsionale prima di fare azioni di ampia scala, facendo un serio lavoro di validazione dell’impatto in itinere ed ex post. È un po’ la critica fatta anche dell’OCSE, non solo all’Italia: dal 2006 al 2015 solo una riforma dei sistemi di istruzione su dieci è stata testata prima di essere implementata su scala nazionale. Invece ex ante nessun Governo testa mai in piccola scala la riforma che applicherà a tutto il Paese e se si aggiunge che una riforma avrebbe bisogno di 10-15 anni per andare a regime…

Quindi cosa suggerisce?
Bisogna fare un salto nella qualità della valutazione. Non il classico monitoraggio degli interventi, dove si dice quanti corsi sono stati fatti, quante aule, quanti alunni coinvolti, quanti sportelli psicopedagoci. Questi numeri servono, ma sapendo che tutto questo è un mezzo per portare al vero fine, che è cambiare la vita degli studenti e delle loro famiglie. Questa domanda troppo spesso nemmeno ce la si pone. Questa cultura della valutazione di impatto dobbiamo ancora costruirla, con una teoria del cambiamento fatta bene, se no restiamo sempre a quel che diceva Einstein: non si può risolvere un problema con le stesse modalità che l’hanno creato. Non chiediamoci quali azioni mettere in campo ma qual è il cambiamento di medio-lungo termine che vogliamo raggiungere e quali sono gli strumenti più efficaci per raggiungerlo. Dobbiamo iniziare dal reale cambiamento che vogliamo portare. Il cambiamento reale a cui miriamo è l’inclusione, non tenere a scuola i ragazzi. Se la prospettiva è questa, cambiano molte cose.

Cosa è la valutazione di impatto spiegata in modo semplice?
Misurare il cambiamento, capire quanto di esso sarebbe avvenuto anche senza il mio intervento e quanto è dovuto effettivamente al mio intervento, quanto durerà il suo effetto dopo la fine del mio intervento e se ha avuto esternalità negative non previste. La cosa più delicata è individuare gli indicatori di outcome, il focus va messo lì. L’output è l’elenco delle cose fatte (infrastrutture realizzate, servizi erogati, ecc.), l’outcome è il cambiamento generato. Indicatori di output ne abbiamo e non ci portano troppo lontano: ci servono solo se cambiano la vita dello studente, se questo esce da scuola ed è una persona in grado di fare una vita autonoma e di partecipare alla vita della comunità attivamente. Questi cambiamenti devono vedersi. Sempre l’OCSE dà dati inquietanti, in Italia un ragazzo su sei tra i 25 e i 34 anni non ha le basi minime per affrontare il mercato lavoro: eppure viene da scuola, alcuni sono anche laureati. Se il risultato del nostro lavoro è questo, cosa li abbiamo tenuti a scuola a fare? La valutazione di impatto sta diventando un mantra, c’è nella riforma del Terzo settore, nella nuova legge sulla cooperazione internazionale, se ne parla ma mancano le grosse sperimentazione. È comunque il segno di una direzione nuova e imprescindibile se si vuole finalmente ragionare su strategie e politiche basate su evidenze. Altrimenti si continuerà a fare il balletto delle riforme e delle proposte, ognuna con i suoi piccoli risultati.

Diceva degli indicatori…
È tema complesso e delicatissimo. Nei decreti attuativi della riforma del Terzo settore dovrebbero esserci anche le linee guida per la valutazione d’impatto, ma chi decide quali indicatori? Settoriali: alcuni per l’educazione, altri per la povertà? Come possono essere confrontabili fra Napoli e Milano? Si stanno muovendo tante cose, anche a livello internazionale. Fondamentale è costruire insieme questi indicatori, devono essere co-progettati, anche insieme a studenti e famiglie, dall’attore politico alla cooperativa sociale alla scuola ai genitori agli studenti, non deve esserci solo la scientificità astratta. Serve trovare un compromesso fra il troppo astratto e il troppo personalizzato. Tutto questo finora in Italia è stato fatto pochissimo o per niente e oggettivamente non può essere richiesto agli operatori o ai docenti che lavorano sulla dispersione, già alle prese con le fatiche del lavoro quotidiano. È un intervento che deve affiancarsi a quello con i ragazzi, tramite un’alleanza tra più soggetti, incoraggiata dalla politica. Dal basso cosa si può fare? Orientare, il terreno può dare delle linee: dall’incontro fra queste due direzioni dovrebbe venire le proposte migliori.

In Italia abbiamo due nuove azioni che hanno a che fare con la dispersione scolastica e una scuola più inclusiva. La prima è il bando ScuolaAlCentro, in scadenza a metà ottobre, 240 milioni di euro di fondi PON, l’altra i bandi per la povertà educativa, appena pubblicati. Vede un cambio di passo?
Si sta andando nella direzione giusta, da un lato con la valorizzazione delle scuole come centri di una comunità educante e dall’altro mettendo insieme trasversalmente realtà diverse. La pluralità di cause rende necessaria una pluralità di strategie, con la scuola come nodo centrale di una rete. Sono due direzioni che segnano una svolta, c’è la necessità di fare una valutazione seria e partecipata.

Cosa vede di positivo e quali criticità restano?
Per ScuoleAlCentro è positivo il fatto che si apra a più educazioni, come l’arte e lo sport, su cui insiste il bando: ci sono bisogni che vanno al di là dell’educazione standard in orari standard, è positiva la consapevolezza che ci sono più educazioni che possono contribuire all’eduzione curricolare. È positivo anche il coinvolgimento e la valorizzazione delle realtà del territorio, creando microreti a livello locale, con la scuola al centro di una comunità, una sorta di community hub per rispondere a bisogni diversi. Fra le criticità direi che le scuole spesso non sono attrezzate per gestire queste progettualità complesse, ci vorrebbe un’azione per rendere le scuole competenti nella progettazione e nella co-progettazione territoriale, nel monitoraggio, nella valutazione e nella rendicontazione. Si possono creare alleanze, però la scuola deve avere quel minimo di competenze per coordinare il tutto. Inoltre queste esperienze meritano di essere raccontate: quale outcome hai avuto? Quali cambiamenti importanti hai avuto? I genitori hanno partecipato di più? Gli insegnanti sono più motivati? C’è più partecipazione?

I nuovi bandi contro la povertà educativa puntano molto ed esplicitamente sulla valutazione di impatto, anche perché si pongono come sperimentazione da cui trarre, fra tre anni, indicazioni per definire politiche nazionali efficaci.
Bisogna capire come si svilupperà il discorso della valutazione di impatto: con indicatori comuni a tutti? Con delle linee guida? Un tema fondamentale è che sia una valutazione partecipata con tutti stakeholder, fatta insieme ai destinatari e alle realtà intermedie coinvolte. Altro aspetto cruciale è il coordinamento fra i differenti centri di ricerca che verranno coinvolti, per ottenere risultati omogenei e confrontabili. Se questa cosa verrà fatta, la valutazione sarà utile a disegnare le politiche future, altrimenti no: sembra una banalità ma non lo è, se raccolgo male le informazioni, esse danno indicazioni sbagliate. La raccomandazione è di andare fino in fondo, investendo le risorse necessarie, perché dalla qualità della valutazione dipenderà la qualità delle politiche.

È un problema quindi che il bando preveda per gli enti di ricerca solo un rimborso spese vive?
Potrebbe essere una criticità, visto l’obiettivo molto alto. L’investimento deve esse proporzionato al risultato che si vuole ottenere. In effetti non ho capito perché se la valutazione di impatto è così importante, tanto da mettere nel bando la partnership con un ente di ricerca, siano previsti solo i rimborsi spese. In questo modo potranno partecipare solo grandi enti di ricerca, il che può rappresentare un vantaggio ma anche un limite.

  • Articolo pubblicato il 4 Novembre 2016

I voucher per richiedere il servizio di baby-sitting o servizi privati accreditati sono erogati alle madri lavoratrici autonome in luogo del congedo parentale.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 252 del 27 ottobre 2016 il Decreto 1° settembre 2016 con l’estensione dell’erogazione del voucher per l’acquisto dei servizi di baby-sitting o per far fronte agli oneri dei servizi per l’infanzia, alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici.

Le madri lavoratrici autonome o imprenditrici, comprese le coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali, imprenditrici agricole a titolo principale, nonché le pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne, dopo il periodo di fruizione dell’indennità di maternità e nei 3 mesi successivi ovvero per un periodo massimo di 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino, possono richiedere alternativamente – per l’anno 2016 – in luogo del congedo parentale, il servizio di baby-sitting o un contributo per i servizi privati accreditati. La richiesta può essere presentata anche dalle lavoratrici che abbiano usufruito in parte del congedo parentale.

L’importo del contributo è pari ad un massimo di 600 euro mensili, per un periodo complessivo non superiore a tre mesi, in base alla richiesta della lavoratrice interessata, erogato attraverso il sistema dei buoni lavoro, mentre nel caso di fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, il pagamento viene fatto direttamente alla struttura prescelta, fino a concorrenza dell’importo massimo di 600 euro. A tal fine, è necessario esibire da parte della struttura della richiesta di pagamento corredata della documentazione attestante l’effettiva fruizione del servizio.

La madre lavoratrice deve presentare la domanda entro il prossimo 31 dicembre, indicando una delle due opzioni. Il beneficio è erogato secondo l’ordine di presentazione delle domande.

Segnalato da Synago

  • Articolo pubblicato il 2 Novembre 2016

La Regione Lazio, con la delibera 614 del 18/10/2016, ha reso noti i requisiti minimi strutturali e organizzativi dei Centri antiviolenza, delle Case rifugio e delle Case di semi-autonomia.

Linee Guida per i Centri antiviolenza della Regione LazioCon le linee di indirizzo pubblicate negli ultimi giorni la Regione Lazio ha voluto definire modalità omogenee di funzionamento delle strutture che erogano servizi per donne che hanno subito violenza e i loro figli, al fine di ridurre la variabilità dei livelli di accoglienza e sostegno e garantire standard qualificati nella presa in carico delle vittime di violenza in tutto il territorio regionale, nonché definire criteri per la promozione di reti territoriali finalizzate a prevenire e contrastare la violenza nei confronti delle donne.

I servizi dei Centri antiviolenza saranno erogati a titolo gratuito e dovranno ispirarsi ai seguenti principi:

Competenza. Il personale impegnato nelle strutture di accoglienza deve possedere formazione e specifiche competenze di lettura della violenza contro le donne in un’ottica di genere e possedere i requisiti previsti dalle vigenti normative di settore nazionali e regionali.

Multidisciplinarietà. L’équipe che accoglie le donne e i/le minori deve garantire una multidisciplinarietà di competenze, in grado di garantire percorsi di sostegno nel rispetto delle differenze culturali e della storia di ciascuna donna.

Chiarezza. Fornire informazioni chiare e comprensibili sia nel contatto telefonico che durante il colloquio anche attraverso il supporto del servizio di mediazione culturale, qualora necessario.

Riservatezza. Nel rispetto della normativa vigente sulla privacy (D.L gs. 196/2003) dovrà essere richiesta l’autorizzazione per il trattamento e l’utilizzo dei dati ai fini del monitoraggio del fenomeno e delle indagini statistiche, fatto salvo comunque l’anonimato della donna.

Fruibilità. e accessibilità Garantire l’accesso a tutte le donne, senza alcuna discriminazione riferita a razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, origine nazionale o sociale, appartenenza a minoranze, censo, nascita, orientamento sessuale, età, disabilità, status di migrante o di rifugiato.

Le “Linee guida per l’offerta di servizi da parte delle strutture preposte al contrasto della violenza di genere” e la delibera della Regione Lazio sono disponibili per la consultazione e il download sul sito ReteMBLazio.it, la Rete delle strutture e dei servizi per i nuclei  vulnerabili mamma-bambino:

72 Fondazioni bancarie hanno raccolto 120,2 milioni di euro per il contrasto alla povertà educativa. Fondazione Con il Sud ha elaborato i primi bandi per il loro utilizzo.

I bandi per l'utilizzo dei 120 milioni del Fondo per il contrasto alla povertà educativaLa povertà economica è spesso causata dalla povertà educativa: le due si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione. Nel nostro Paese quasi la metà dei minori in età scolare non ha mai letto un libro, se non quelli di studio, il 70% non ha mai visitato un sito archeologico, il 55% un museo, il 45% non ha svolto alcuna attività sportiva. Sono queste le motivazioni, riportate sul sito dell’Acri, che hanno convinto 72 Fondazioni bancarie a raccogliere fondi per un obiettivo comune: il contrasto alla povertà educativa minorile.

Lo stesso Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, l’Associazione di Fondazioni e Casse di risparmio, annuncia che l’obiettivo dei 120 milioni è stato raggiunto. «È un risultato importante che dimostra, come sempre, la capacità delle nostre Associate di essere coese e fare squadra. Anche le Fondazioni che quest’anno non hanno contribuito materialmente all’iniziativa, per difficoltà contingenti, hanno, infatti, confermato il loro pieno appoggio alla realizzazione del progetto». I primi bandi usciranno in questo mese di ottobre.

Qualche anticipazione in merito è stata riassunta da Vita non profit.
Il Comitato di Indirizzo Strategico ha individuato innanzitutto due target prioritari di intervento: i piccolissimi (0-5 anni), cui andrà il 60% delle risorse e l’adolescenza (11-17 anni), cui andrà il restante 40%. Sulle altre fasce di età ci di concentrerà negli anni successivi.

Il Piano ha carattere nazionale, ma ci saranno due graduatorie, che si divideranno equamente le risorse (il 50% delle risorse sarà conferito su base regionale): una graduatoria per progetti di rilevanza nazionale o sovraregionale, che potranno accedere a contributi fra gli uno e i tre milioni di euro e una graduatoria per progettualità con ricaduta regionale e un contributo tra i 250mila euro e un milione di euro.

Ai bandi possono concorrere le organizzazioni del terzo settore e gli istituti scolastici, purché siano in partnership con altre organizzazioni.

Sono previste due fasi: una per la presentazione di “idee progettuali”, che concorreranno a una prima selezione. In una seconda fase, i soggetti che avranno superato la prima selezione dovranno presentare dei progetti esecutivi. Nella fase di selezione saranno valutate in particolare ampiezza e qualità delle partnership, dimensione territoriale dell’intervento, intensità e criticità del problema nel territorio in cui insiste il progetto stesso, co-finanziamento dei progetti, misurabilità degli obiettivi perseguiti.

Il soggetto attuatore del progetto è l’impresa sociale “Con i bambini”, di Fondazione Con il Sud, che ha elaborato i primi bandi.

Oasi porterà all’incontro “Le buone pratiche di innovazione nella didattica”, chiusura della Phyrtual Innovation Week, la propria esperienza alla Cabina di Regia della legge 285/97 a Roma.

Innovazione nella Didattica, alla Città Educativa di Mondo DigitaleSabato 8 ottobre, alle ore 10.00, parteciperemo all’evento conclusivo della Phyrtual Innovation Week, la settimana sull’innovazione nella didattica promossa dalla Fondazione Mondo Digitale. Alla Città Educativa di Roma sarà “L’educazione per la vita come modello di promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza (legge 285/97)” il tema dell’incontro, della mostra e della sfida tra gli studenti che si contenderanno il Premio Volontari della Conoscenza.

L’evento intende dare luce alle esperienze e alle attività portate avanti in questi anni dalle scuole, dai centri di aggregazione giovanile e dalle associazioni nell’ambito della legge 285/97. Per questo motivo Martino Rebonato interverrà per riportare l’esperienza sul tema dell’Associazione Oasi, che nella Capitale è impegnata alla Cabina di Regia della legge che istituisce il fondo dedicato alle iniziative rivolte ai minori. Sarà anche un’ottima occasione per confrontarsi, fare rete e costruire nuovi scenari.

Le scuole romane sono capaci di elaborare esperienze innovative, di sperimentare tecnologie a basso costo e di investire con successo nel capitale umano, esportando modelli di successo anche all’estero, tutti basati su qualità e inclusione. Lo racconta la pubblicazione “Innovazione nella scuola romana: dotazione digitale e proposte formative della Città Educativa di Roma”.

Nel corso dell’intera giornata ci sarà anche la mostra delle buone pratiche didattiche di scuole e associazioni del territorio. In parallelo, squadre di studenti e docenti si sfidano per il Premio Volontari della Conoscenza elaborando e presentando le proprie idee progettuali.

Il programma dell’evento

Il programma della Phyrtual Innovation Week

  • Articolo pubblicato il 21 Settembre 2016

Lunedì 19 settembre l’Associazione Oasi ha partecipato al tavolo tematico per il Piano Sociale Lazio su famiglia, minori e adozioni. Da qui al 6 ottobre i prossimi incontri in programma.

Piano sociale LazioProseguono i lavori partecipati per il Piano regolatore delle Politiche sociali della Regione Lazio. Enti locali e organizzazioni del Terzo Settore stanno vivendo una fase importante del percorso che porterà al Piano Sociale per il triennio 2016-2019: l’agenda è fitta d’incontri tra settembre e ottobre.

La Regione ha deciso, infatti, di dar vita a questo strumento di programmazione partendo da una fase d’ascolto che coinvolga il territorio, la cittadinanza e, in particolare, i professionisti e le realtà che vivono il mondo del sociale e la cui esperienza possa diventare un tesoro da sfruttare nella redazione del Piano. Questa fase è caratterizzata da assemblee territoriali e tavoli tematici che stanno avendo luogo in tutte le provincie della Regione. L’assessorato alle Politiche Sociali ha espresso la volontà che “le strategie e gli investimenti sull’inclusione sociale messi in campo nei prossimi tre anni non siano calati dall’alto ma progettati su misura per ciascuna area della nostra Regione, insieme agli attori sociali del territorio”.

Al tavolo tematico di lunedì scorso, 19 settembre, che aveva come oggetto le “Politiche e strategie regionali per la famiglia, i minori e le adozioni” ha partecipato anche l’Associazione Oasi. L’interesse per la tematica deriva dall’impegno, insieme alla cooperativa sociale Kairos, nel progetto Mam&co e per la Rete MB Lazio (Famiglie e servizi in rete per i nuclei mamma-bambino). La predisposizione del Piano Sociale Lazio, inoltre, ha visto Oasi impegnata nella realizzazione di un intervento di consulenza e assistenza tecnica e supporto operativo, in collaborazione con l’Università di Roma – Tor Vergata, il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Forum del Terzo Settore del Lazio.

I prossimi incontri in programma riguarderanno gli ambiti territoriali e toccheranno quattro diverse province del Lazio. Vedranno quasi tutti un incontro con gli Enti locali precedere l’assemblea con associazioni e Terzo Settore. Si riparte lunedì 26 settembre, a Frosinone.  Gli appuntamenti con i tavoli tematici, come quello sulla disabilità o sul contrasto alla povertà, sono ancora da definire.

Il calendario degli incontri in programma pubblicato sul sito dell’assessorato alle Politiche Sociali della Regione:

Calendario Piano Sociale Lazio

Storie di un incontro – Le Imprese e i Giovani è l’evento che la Cooperativa Sociale Kairos ha organizzato per ripercorrere un’esperienza nell’ambito dell’agricoltura sociale. La serata nasce per far conoscere e condividere le impressioni dei giovani che hanno partecipato al progetto Le Imprese e i Giovani, promosso dal Municipio Roma IX, realizzato dalla Kairos e finanziato dalla Regione Lazio.

Il progetto avrà con Storie di un incontro, giovedì 15 settembre, ore 17:30, la propria serata di chiusura. Lo scenario sarà quello offerto dalla Casa del Giardinaggio di Roma, in via Ardeatina 610. A raccontare le proprie esperienze ci saranno i giovani che si sono messi alla prova con il lavoro agricolo, le aziende che hanno dato loro fiducia e gli operatori che hanno seguito l’iniziativa.

Le Imprese e i Giovani è un progetto basato sulla creazione di opportunità, per i minori e i giovani che provengono da contesti ambientali e situazioni difficili, di fare esperienze in ambito agricolo, accrescerne le possibilità di inclusione e di educazione al lavoro, così come di lavorare sulla sostenibilità attraverso la costruzione di una rete territoriale integrata fra aziende agricole, ente locale e organizzazioni del terzo settore.
È stata un’esperienza di successo e di apprendimento grazie alla sperimentazione di metodi strutturati di progettazione territoriale e di lavoro in partnership. Si è trattato di un’esperienza concreta di welfare di comunità che ha visto le aziende protagoniste nel territorio in cui operano. Il lavoro in partenariato ha prodotto relazioni di rete a supporto dei giovani nei loro percorsi di orientamento e formazione al lavoro adattati alle esigenze di ciascuno di loro.

In programma ci sono i racconti e le riflessioni di chi ha seguito il progetto da vicino e una conversazione che vedrà protagonisti i ragazzi e gli altri soggetti che hanno partecipato a Le Imprese e i Giovani. Dopo aver tratto le conclusioni, ci sarà un buffet con degustazioni e assaggi dei prodotti dell’agricoltura sociale.

È scaricabile il programma dell’appuntamento

Invito e programma di Storie di un incontro - serata sul progetto di agricoltura sociale

L’invito e il programma dell’appuntamento “Storie di un incontro – Le Imprese e i Giovani”. La serata di chiusura del progetto di agricoltura sociale

  • Articolo pubblicato il 5 Agosto 2016

Approvato dal tavolo interministeriale il documento che guiderà la distribuzione tra le Regioni del Fondo per i disabili non autosufficienti.

Comitato 16 novembre - Piano non autosufficienzeIl Piano Nazionale per le non autosufficienze è stato licenziato dal tavolo composto da Ministero dell’Economia, Ministero del Lavoro e Ministero della Salute. Ora sarà al vaglio della Conferenza Stato-Regioni e, entro circa due mesi, vedrà terminare il proprio iter sotto forma di decreto.

Il Piano Non Autosufficienze sarà il documento utile per distribuire nel modo più pertinente, tra le varie Regioni, il Fondo per la non autosufficienza. Il Fondo destinato alle politiche e agli interventi per le persone con disabilità gravi e totalmente invalidanti, come la SLA, fino ad ora è stato distribuito tra le Regioni in base alla popolazione residente. Il Piano prevede, invece, i criteri per misurare il grado di bisogno per le persone non autosufficienti e le scale di valutazione per ripartire il Fondo dal prossimo anno in poi.

Quest’anno il Fondo è pari a 400 milioni di euro e sarà ancora una volta distribuito in base ai vecchi criteri. Alla Lombardia, quindi, spetterà la fetta più grande (60,8 milioni), mentre la Valle d’Aosta non raggiunge il milione. Il Piano Non Autosufficienze incontra il gradimento del Comitato 16 Novembre. Attraverso la portavoce Mariangela Lamanna, infatti, afferma che “ci sono, in questo momento, Regioni che ancora devono spendere il fondo del 2010, mentre altre che hanno esaurito le risorse dello scorso anno e sono in difficoltà”. Il Piano arriva dopo le proteste e i 16 presìdi portati avanti dai cittadini gravemente disabili che compongono il comitato. In precedenza, si era già raggiunto il risultato di incrementare e stabilizzare il Fondo. Oggi il Comitato 16 Novembre chiede un’ulteriore sforzo: “ieri il Comitato ha ribadito, di fronte al viceministro dell’Economia Zanetti, la necessità di incrementarlo almeno del 50%. Se così non sarà, saremo costretti ad organizzare ancora presidi, dopo i 16 che fino a questo momento abbiamo realizzato”. A tal proposito, una delle proposte avanzate è quella di integrare il Fondo con una maggiore compartecipazione delle Regioni, che potrebbe arrivare almeno al 40%.

Per approfondire: SuperAbile.it
Immagine: Comitato 16 Novembre su sardiniapost.it

  • Articolo pubblicato il 21 Luglio 2016

Dal 2 settembre parte il SIA, Sostegno per l’Inclusione Attiva. Il contributo è destinato alle famiglie ed è legato ad un progetto volto al superamento della condizione di povertà.

Sostegno per l'Inclusione Attiva - La presentazione del Ministro PolettiDopo la fase di prova in 12 città, la misura di contrasto alla povertà diventa nazionale. Entrato in vigore il decreto ministeriale, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha ufficializzato l’ampliamento su tutto il territorio italiano del SIA – Sostegno per l’Inclusione Attiva. Si tratta di un contributo destinato alle famiglie che versano in condizione di povertà. La concessione del contributo è legata ad un progetto, un patto siglato con la famiglia beneficiaria, che dovrebbe portare al superamento delle cause dello stato di disagio economico.

Questo intervento è rivolto alle famiglie che abbiano un Isee corrente pari o inferiore a 3000€ e presentino almeno una di queste condizioni: uno o più figli di età inferiore ai 18 anni; una donna in stato di gravidanza; un disabile e almeno un suo genitore. Il contributo può variare da un minimo di 80€ ad un massimo di 400€, erogati ogni due mesi, in base al numero dei membri della famiglia. Per ogni suo componente, fino ad un massimo di 5, il contributo aumenta il proprio importo di 80€.

Il Sostegno d’Inclusione Attiva ha lo scopo di aiutare le famiglie a mettere in pratica delle azioni programmate per uscire dalla povertà. Il contributo economico, infatti, non è svincolato dal progetto personalizzato assegnato alla famiglia che ne beneficia. Il progetto è volto al superamento della condizione di povertà, al reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale.

Il fondo per l’anno 2016 è pari a 750 milioni di euro e raddoppierà nel 2017. Sarà utile a coprire circa il 40% delle famiglie in povertà assoluta, tra i 180 e i 220 mila nuclei. Si parla, quindi, di un totale che va dagli 800 mila al milione di cittadini interessati sin da questo anno, la metà dei quali sono minori.

Il SIA è considerato un intervento che faccia da ponte verso il Reddito d’Inclusione che, secondo i programmi del Governo, dovrebbe essere definito da una legge delega nel 2017.