• Articolo pubblicato il 8 Aprile 2014

Dal 6 Febbraio 2014 è iniziata la diffusione in 8 regioni Italiane della campagna di sensibilizzazione politica per le prossime elezioni europee ed amministrative “Politeia romanì“.
L’appuntamento romano della campagna è per sabato 12 aprile alle ore 17:30 presso l’associazione culturale “Il cielo sopra l’Esquilino”, in via Galilei 57.
I contenuti, i materiali (cartaceo e video/spot) e le iniziative di diffusione di“Politeia romanì” – Campagna di sensibilizzazione politica – saranno disponibili nel sito web: http://politeiaromani.fondazioneromani.it

Studi scientifici indicano che più della metà della popolazione romanì residente nel nostro paese è composta da cittadini italiani, storicamente residenti in tutte le regioni Italiane, che possono votare e candidarsi in qualsiasi elezione.
Per sfiducia e per assenza di consapevolezza politica molte persone rom non si recano alle urne per esercitare il diritto di voto, mentre le organizzazioni politiche evitano di candidare persone rom alle elezioni per timore di perdere consenso elettorale.
Tanti dei pochi rom che si recano alle urne spesso “svendono” il proprio voto al politicante di turno in cambio di un buono/benzina o il pagamento di una bolletta.
La partecipazione politica non è un processo spontaneo (soprattutto nelle nostre società complesse fondate sulla delega) ma, per esser efficiente presuppone l’attivazione di campagne di sensibilizzazione (self-empowerment) e processi di formazione alla partecipazione (capacity building), che consentano ai soggetti di partecipare attivamente, di co-elaborare decisioni in gruppo, di perseguire in modo efficace le proprie idee, di sviluppare un pensiero critico e autonomo.
Partendo da questo insieme di fattori che un individuo, un gruppo, una comunità possono strutturare i contenuti alla base dell’accesso a ciò che definiamo cittadinanza sostanziale, e non meramente formale.
Si tratta di un processo che necessita di una visione strategica che la Fondazione romanì Italia ha individuato nell’elaborazione di una nuova romanipè, una romanipè 2.0 (due punto zero).
E’ essenziale per la popolazione romanì prendere parte al processo di costruzione della politica e dei meccanismi di formazione degli organi istituzionali al fine di parteciparli, ma anche per inviare messaggi, stimoli e provocazioni in modo strutturato, trasparente e organizzato, a tutta la comunità politica italiana.
Nell’ottica della visione strategica di elaborare una romanipè 2.0, la Fondazione romanì Italia, con il sostegno di Open Society Foundation, promuove la Campagna “Politeia romanì”.
“Politeia romanì” è campagna di sensibilizzazione politica delle comunità romanès con la finalità di muovere i singoli e le comunità nella direzione della consapevolezza in relazione ai diritti elettorali.
“Politeia romanì” è anche sensibilizzazione delle organizzazioni politiche per rendere visibile un quadro di conoscenze depurato da visioni stereotipate, parziali e buoniste, per fornire occasioni di scambio e di reciproca sensibilizzazione sulla partecipazione politica.
“Politeia romanì” attiva il protagonismo rom con il processo di empowerment degli attivisti rom di “Fuochi attivi”, (gruppo italiano di universitari rom) che interverranno nei territori di 8 regioni Italiane per pianificare e realizzare le attività della campagna di sensibilizzazione politica.

Il voto è un diritto politico che permette di partecipare attivamente alla vita pubblica.
Il voto è un diritto civico essenziale per il funzionamento della democrazia.
La democrazia che NON funziona genera abusi, discriminazione, esclusione
La democrazia che funziona
è libertà di pensiero
è giustizia sociale
è partecipazione sostanziale

Rinunciare al voto significa abbandonare l’idea del cambiamento

Per aderire e/o sostenere alla campagna Politeia romanì inviare una email a: [email protected]

www.fondazioneromani.it

Per scaricare l’invito clicca qui

  • Articolo pubblicato il 8 Aprile 2014

Secondo i più recenti dati nel ministero della Giustizia (28 febbraio 2014), dei 60.828 detenuti presenti nelle carceri italiane 20.891 sono stranieri. Di questi, solo 1.037 sono donne. A livello percentuale, gli immigrati incidono per il 34,4 per cento sul totale dei reclusi, con un trend in calo negli ultimi anni. I detenuti sono spesso giovani, in carcere per reati dettati soprattutto dalla loro condizione di marginalità e dalle difficoltà economiche.

L’andamento storico

Nel 2008 e 2009 l’incidenza sulla popolazione detenuta era del 37,1 per cento, scesa a 36,7 nel 2010 e calata di mezzo punto percentuale l’anno successivo, per arrivare a 35,8 nel 2013. Ma il dato è ancora molto superiore a quello del 29 per cento registrato nel 2000.

Caritas e Migrantes, nel loro “Rapporto Immigrazione 2013-2014”, hanno analizzato le serie storiche relative agli ultimi dieci anni, arrivando alla conclusione che “il panorama non è mutato molto, anche se si registra una tendenza all’incremento tutto sommato contenuto sia fra le denunce ascritte agli stranieri sia al numero dei detenuti”. Le prime, infatti, sono aumentate del 23,4 per cento (da 224.215 nel 2004 a 276.640 nel 2011), mentre i detenuti del 35,3 per cento, passando da 17.000 a 23.000. “L’incremento della popolazione residente, nello stesso arco di tempo, è stato, peraltro, molto più significativo” precisa il rapporto. Per la Fondazione Leone Moressa di Mestre, dall’inizio della crisi (2007-2013) i detenuti nelle carceri italiane sono complessivamente aumentati del 28 per cento, che in termini assoluti si traduce in poco meno di 14 mila “nuovi” reclusi: ma mentre l’incremento tra gli stranieri è stato circa del 20 per cento, quello degli italiani è stato molto più elevato (+34 per cento). “Il risultato di queste dinamiche è che la popolazione carceraria straniera si sta progressivamente ridimensionando”. Un dato, tra l’altro, accentuato negli ultimi 7 mesi dalla legge “svuota carceri”: infatti, dei 5.200 detenuti che sono usciti grazie ad essa tra il giugno 2013 e il febbraio 2014, il 45 per cento era di nazionalità non italiana.

Allarme sociale ingiustificato

Secondo i dati di Caritas e Migrantes gli stranieri occupano, anche nella criminalità, “posizioni di prevalente manovalanza commettendo i reati meno remunerativi, ma più visibili, o comunque diretti a procurare un vantaggio economico immediato”. Si tratta perlopiù, spiega il rapporto, di una forma di devianza ricollegata alla precarietà delle condizioni di vita e patrimoniali. La maggior parte dei reati rientra nella criminalità diffusa, quella che si sviluppa in strada, nei luoghi pubblici o all’aperto. Si tratta soprattutto di furti, “prevalentemente realizzati negli esercizi commerciali, mentre del tutto minoritari risultano quelli con destrezza o con strappo simili, per modalità della condotta, alla rapina” si precisa nel rapporto.

Vittime

Sempre guardando le denunce, fra i reati contro il patrimonio hanno un peso non indifferente le truffe/frodi informatiche, “forme di aggressione del patrimonio che, pur lasciando inalterato il loro disvalore, non contemplano tuttavia modalità violente verso la vittima. E anche fra i reati contro la persona le fattispecie più frequenti, minacce e ingiurie, hanno una componente di aggressività fisica ridotta”. Caritas e Migrantes mettono anche in evidenza che, pur non esistendo prove statistiche, “in molti dei reati loro attribuiti gli stranieri assumono altresì la veste di vittime: in tal senso il caso dello sfruttamento della prostituzione è piuttosto lampante. A ciò si aggiungano le altre forme di sfruttamento: basti pensare alle condizioni di vita imposte ai lavoratori stagionali nelle nostre campagne, allo stesso traffico che caratterizza i loro viaggi della speranza, spesso destinati a terminare con la morte”.

Tipologie di reato

Dalle elaborazioni della Fondazione Moressa su dati del Dap emerge che poco più di un reato su quattro è commesso da stranieri (27,9 per cento sul totale di 137.439 reati). L’incidenza è molto alta tra i reati legati alla legge sull’immigrazione (91 per cento) e alla prostituzione (78 per cento). Il 40 per cento dei detenuti per produzione e spaccio di stupefacenti è costituito da stranieri, il 37,9 per reati contro la pubblica amministrazione. Incidenza che scende al 31 per cento esaminando i reati contro la persona, al 25,9 per quelli contro la famiglia, al 29 per cento per i reati contro il patrimonio e relativi all’ordine pubblico e al 9 per cento per i reati legati alle armi.

Condanne

I dati nel ministero della Giustizia al 30 settembre 2013 riferiscono di 5.088 detenuti stranieri con condanna non definitiva sul totale di 22.770 immigrati reclusi. Altri 4.990 sono ancora in attesa di primo giudizio. Poco più della metà (12.509) hanno invece ricevuto una condanna definitiva. Tra questi, 1.088 hanno una pena inferiore a un anno, 1.620 fino a due anni, 1.890 fino a tre. In 3.168 hanno condanne fino a cinque anni e 3.056 fino a cinque. Una pena dai 10 ai 20 anni interessa 1.274, mentre supera i venti in 247. In 79 hanno l’ergastolo.

Popolazione detenuta. Nelle carceri italiane sono presenti ben 140 nazionalità diverse. Le più rappresentate sono quella marocchina (3.852), rumena (3.437), albanese (2756) e tunisina (2.462). Il 46% dei detenuti stranieri proviene da paesi africani, il 42 per cento dall’Europa, mentre il restante 12 per cento si divide equamente fra Asia e America. Tra i detenuti stranieri l’età media è più bassa che tra gli italiani: prevale la fascia d’età compresa fra i 29 e i 34 anni (44,4 per cento, ma si arriva fino al 73 per cento considerando fino ai 44 anni). Inferiore rispetto ai detenuti italiani anche il livello d’istruzione: nettamente più diffusi il titolo di scuola media inferiore ed elementare, che insieme incidono per il 68,5 per cento, con un 15 per cento di persone classificate come “analfabete”.

Fonte: nelpaese.it

  • Articolo pubblicato il 8 Aprile 2014

Nonostante l’aumento degli interventi promossi dalla CEI la situazione di chi si rivolge alla Caritas è sempre più drammatica e complessa. Di Lorenzo Bandera

È stato presentato “False Partenze”, il Rapporto Caritas 2014 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia. Partendo dai dati raccolti nel corso delle esperienze di ascolto, osservazione e animazione svolte quotidianamente dalle 220 Caritas diocesane presenti sul territorio nazionale, la ricerca indica come molte delle iniziative intraprese per sostenere i più fragili si siano rivelate incapaci di garantire loro un reale re-inserimento nel contesto sociale. Come si risponde alle nuove e sempre più complesse forme di povertà che colpiscono un numero crescente di persone che vivono nel nostro Paese?

False partenze

Il titolo scelto per il Rapporto Caritas 2014, “False partenze“, mette anzitutto in discussione alcune ipotesi emerse nel precedente Rapporto Caritas dell’ottobre 2012, intitolato “I ripartenti”. A distanza di un anno e mezzo da quella pubblicazione pare infatti che le “ri-partenze” auspicate non si siano mai compiute, quanto meno non in maniera complessiva e strutturata.
“Più che ri-partenze”, si legge nella presentazione del rapporto 2014 “si sono verificate false partenze: molte persone, puntando all’emancipazione, hanno accettato di rimettersi in gioco, ma si sono impegnate in attività lavorative non adeguate rispetto alle loro capacità, sopportando situazioni di evidente sfruttamento, sotto-retribuzione, condizioni di lavoro al limite del degrado, ecc”.
Il Rapporto analizza e approfondisce questa situazione indagando i principali cambiamenti rilevati dalle Caritas diocesane della Penisola, analizzando i percorsi e i progetti anti-crisi sviluppati nei diversi territori e fornendo una serie di orientamenti e raccomandazioni in tema di politica sociale e coinvolgimento delle comunità locali. Il Rapporto contiene inoltre una sintesi dell’indagine nazionale sulle condizioni di povertà dei genitori separati, i dati sul cosiddetto “Prestito della Speranza” e un confronto con i dati del secondo rapporto di monitoraggio dell’impatto della crisi economica nei “paesi deboli” dell’Unione Europea, realizzato da Caritas Europa. All’interno del volume anche alcuni dati interessanti sulla povertà alimentare e le opere attivate da Caritas per contrastarla (per maggiori info leggi anche: Emergenza Alimentare: le risposte di Caritas).

Non una ma tante povertà: i dati dei Centri di Ascolto 

La prima parte del Rapporto ha lo scopo di fornire al lettore una serie di dati e informazioni utili per comprendere meglio il fenomeno della povertà in Italia dal punto di vista delle Caritas diocesane e delle diverse diramazioni territoriali della Chiesa Cattolica. I dati sono stati raccolti presso 814 Centri di Ascolto (le istituzioni della Caritas che si interfacciano con le persone bisognose), presenti in 128 diocesi.
A livello complessivo si evidenzia come coloro che si rivolgono alla Caritas sono per la maggior parte stranieri (61.8% del totale). Questo dato appare tuttavia ribaltato a Sud, dove ad essere maggioritari sono gli italiani (59,7% rispetto al 38.2% della media nazionale). Il bisogno più frequente di chi si rivolge ai Centri di Ascolto Caritas è quello della povertà economica (59,2% del totale degli utenti), seguito dai problemi di lavoro (47,3%) e da problematiche abitative (16,2%). Tra gli italiani l’incidenza della povertà economica è molto più pronunciata rispetto a quanto accade tra gli stranieri (65,4% contro il 55,3%), mentre la presenza di problemi occupazionali è più elevata tra gli immigrati rispetto agli italiani (49,5% contro il 43,8%).
Per affrontare queste situazioni gli utenti chiedono beni e servizi materiali (34,0%), l’attivazione e il coinvolgimento di soggetti ed enti terzi che li possano aiutare (26,8%), servizi o informazioni su misure/prestazioni socio-assistenziali disponibili nel territorio (10,3%). C’è anche chi chiede in modo esplicito un contributo economico diretto (10,7%), ma tale quota risulta in diminuzione da quando le varie diocesi hanno attivato varie misure di sostegno economico (microcredito familiare o d’impresa, Prestito della Speranza, fondi diocesani di solidarietà, ecc.).

I genitori separati e il rischio povertà

Nel Rapporto sono riportarti i primi risultati della Prima indagine nazionale sulla condizione di vita dei genitori separati, che indica come le rottura del rapporto coniugale sia spesso correlato all’emergere di nuove forme di povertà e disagio socio‐relazionale. I dati presentati si riferiscono a 466 interviste fatte a genitori separati presso centri di ascolto (36,9%), consultori familiari (33,5%), servizi di accoglienza (18,5%) e mense (8,2%). La rilevazione ha coinvolto la rete Caritas e quella dei Consultori familiari d’ispirazione cristiana.

Dalla ricerca emerge in primo luogo un forte disagio occupazionale degli intervistati (il 46,1% è in cerca di un’occupazione) e un alto tasso di precarietà abitativa: circa il 19% afferma di vivere in coabitazione presso familiari ed amici, il 18.3% ricorre a strutture di accoglienza o dormitori, il 5,2% in “alloggi impropri”. Il 66,1% degli intervistati dichiara inoltre di non riuscire a provvedere all’acquisto di beni di prima necessità (prima della separazione tale percentuale riguardava solo il 23,7% degli intervistati). Dopo la separazione è inoltre aumentato il ricorso a servizi socio‐assistenziali del territorio: centri di distribuzione beni primari (49,3%), mense (28,8%) e gli empori/magazzini solidali (12,9%).

Oltre a problemi di natura materiale le separazioni incidono negativamente anche sulla dimensione psicofisica: ben il 66,7% degli intervistati rivela un aumento dei disturbi psicosomatici rispetto al periodo precedente la rottura del legame familiare. Da segnalare anche l’emergere di problemi relazionali coi figli, soprattutto negli uomini. Il 68% dei padri intervistati riconosce un cambiamento importante (a fronte del 46,3% delle donne) che nel 58,1% coincide col peggioramento nella qualità dei rapporti (le madri al contrario riconoscono per lo più un miglioramento).

Iniziative della Caritas contro la crisi

Dal rapporto emerge come negli ultimi anni le diverse diramazioni della Caritas e della Chiesa abbiano attivato moltissime progettualità e iniziative per fronteggiare le emergenze sociali legate alla crisi. La rilevazione, aggiornata a dicembre 2013, evidenzia la presenza di 1.148 iniziative a carattere sociale.
I progetti diocesani di microcredito per famiglie o imprese sono stabili rispetto al 2012 (143 progetti). I fondi diocesani di solidarietà (come ad esempio il Fondo Famiglia Lavoro della Caritas Ambrosiana) aumentano invece del 10,9% (da 147 a 163 progetti). Per quel che riguarda il fronte lavoro risultano attivi 139 sportelli diocesani di consulenza/orientamento (+ 5,3% rispetto al 2012), mentre sono in calo sportelli o progetti di orientamento sul fronte abitativo (‐17,6%). Gli empori e botteghe solidali che effettuano distribuzione di beni di prima necessità gratuitamente, tramite offerta o a prezzi solidali, sono presenti in 109 diocesi (+70%). Diminuiscono invece le esperienze di carte acquisto/buoni spesa per il supermercato, attive presso 57 diocesi (‐ 8,1%). Da segnalare l’aumento di progetti di taglio “sperimentale o innovativo”, che passano da 121 nel 2012 a 215 nel 2013 (+77,7%).
Tra le esperienze più significative promosse dalla Caritas c’è sicuramente il Prestito della Speranza, un’iniziativa orientata a favorire prestiti agevolati, garantiti da un Fondo specificatamente costituito dalla CEI in collaborazione con l’Associazione Bancaria Italiana. L’obiettivo è quello di dare un segno di speranza a quanti oggi si confrontano con gli effetti più immediati della crisi e, nel contempo, educare all’uso responsabile del denaro e al dovere della restituzione una volta superata la situazione di indigenza. I potenziali destinatari sono tutte le famiglie che versano in situazioni di disagio o di indigenza e/o le microimprese da esse promosse. Dal 2009 ad oggi sono state sostenute 3.583 le famiglie, per un totale di oltre 22 milioni di euro di finanziamenti erogati.

Prospettive e proposte di sviluppo delle politiche sociali

L’ultima parte del Rapporto si sofferma sulle tendenze assunte del nostro sistema di welfare, evidenziando nodi critici e possibili proposte di miglioramento. Da un lato si evidenziano segnali positivi provenienti dal settore pubblico – come il rifinanziamento del Fondo nazionale per l’autosufficienza e l’introduzione del nuovo Isee – ma nel contempo si sottolinea anche il gap esistente tra la fase di ratifica legislativa e l’effettiva operatività dei provvedimenti.
Aspetti di criticità sono in particolare ravvisabili nel carattere sperimentale e provvisorio di molte delle recenti novità legislative. Da un lato il Rapporto riconosce come la legge di stabilità 2014 abbia impegnato un ammontare di risorse per la lotta alla povertà significativo rispetto agli ultimi anni, ma dall’altro lato si sottolinea come i percorsi di implementazione siano definiti ancora una volta “sperimentali” (come ad esempio la nuova Carta Acquisti), privi di una prospettiva normativa definita e di copertura economica di lungo periodo.
Nonostante processi di riforma apparentemente virtuosi, le tempistiche e le modalità di attivazione delle misure previste lasciano dunque nell’incertezza sia chi potrebbe usufruire di tali strumenti sia chi potrebbe contribuire a diffonderle ed integrarle. Lo sviluppo di quadri normativi precisi, effettivi e stabili nel tempo potrebbe in questo senso determinare un aiuto importante per coloro che quotidianamente operano in contrasto al disagio sociale.

Fonte: www.secondowelfare.it

  • Articolo pubblicato il 8 Aprile 2014

“Ogni bambino conta”: è quanto sottolinea l’UNICEF, che ha presentato il suo nuovo rapporto “La condizione dell’infanzia nel mondo 2014”, ricchissimo delle statistiche più aggiornate su tutte le dimensioni dell’infanzia (vedi la scheda dati).

«Nel mondo sono 2,2 miliardi i bambini e gli adolescenti, che rappresentano il 31% della popolazione mondiale. Contarli li rende visibili, e identificarli permette di rispondere alle loro necessità e promuovere i loro diritti attraverso maggiori impegni e innovazioni» ha dichiarato il Presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera.

90 milioni di vite salvate…

Il rapporto odierno, il più importante tra le pubblicazione istituzionali dell’UNICEF, rileva che:

  • circa 90 milioni di bambini sarebbero morti prima del quinto anno di vita, se il tasso di mortalità infantile fosse rimasto ai livelli del 1990. In gran parte, questo risultato dipende dai progressi nel campo delle vaccinazioni, della salute, dell’accesso all’acqua e ai servizi igienico sanitari.
  • Dal 1990 il miglioramento nell’alimentazione ha ridotto del 37% il ritardo nella crescita (malnutrizione cronica).
  • L’iscrizione alla scuola primaria è aumentata anche nei paesi meno sviluppati. Nel 1990 solo il 53% dei bambini in questi paesi era ammesso a scuola; dal 2011 il tasso ha raggiunto l’81%.

…ma permangono gravi disparità

Le statistiche del rapporto si soffermano anche sulle gravi violazioni sui diritti dei bambini:

  • Nel 2012, 6,6 milioni di bambini sotto i 5 anni – 18.000 ogni giorno – sono morti per cause che si sarebbero potute prevenire.
  • Il 15% dei bambini svolge un lavoro che lede il diritto all’istruzione, allo svago e alla protezione dallo sfruttamento.
  • L’11% delle giovani donne si sono sposate prima di aver compiuto 15 anni, correndo così seri rischi per la propria salute, istruzione e tutela.

I dati rilevano inoltre divari e diseguaglianze, mostrando come i traguardi dello sviluppo non siano distribuiti uniformemente:

  • nelle famiglie più povere ci sono tre probabilità in meno, rispetto a quelle nei paesi più ricchi, di essere assistiti alla nascita da un operatore qualificato.
  • In Niger, il 39% delle famiglie rurali ha accesso all’acqua potabile rispetto al 100% delle famiglie urbane.
  • In Ciad, per ogni 100 ragazzi che frequentano la scuola secondaria, sono appena 44 le ragazze iscritte.

Contare per includere

«I dati hanno un’importanza cruciale perché rendono possibile le azioni necessarie per salvare e migliorare la vita di milioni di bambini, soprattutto quelli più poveri» spiega Tessa Wardlaw, responsabile del settore Dati e Analisi all’UNICEF. «Potremo fare ulteriori progressi soltanto se sapremo quali sono i bambini più trascurati, in quali aree i bambini e le bambine non frequentano la scuola, dove dilagano le malattie o dove mancano strutture igienico-sanitarie di base.»

Da quando, nel 1989, è stata approvata la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e soprattutto con l’approssimarsi della scadenza degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (2015), sono stati realizzati importanti progressi. Tuttavia, i dati rilevano anche carenze e diseguaglianze, mostrando come i traguardi dello sviluppo non siano distribuiti omogeneamente.

Inoltre, le innovazioni nella raccolta dati, nell’analisi e nella diffusione rendono possibile disaggregare i dati in base ad alcuni indicatori, quali la posizione geografica, il livello di benessere, il sesso, l’appartenenza etnica o la disabilità, al fine di includere nelle statistiche anche i bambini che sono stati esclusi o trascurati.

Investire nell’innovazione per non dimenticare nessun bambino

Il rapporto richiede maggiori investimenti nell’innovazione, in modo da evitare e correggere gli errori che producono esclusione sociale. Per prevenire l’esclusione si deve cominciare dall’impiego di dati inclusivi. Per migliorare l’acquisizione, la disponibilità e l’affidabilità dei dati sulle deprivazioni che i bambini e le loro famiglie devono affrontare, gli strumenti di raccolta e analisi devono essere costantemente migliorati  – e ne vengono sviluppati di nuovi. Ciò richiederà investimenti e impegni, sottolinea il rapporto.

Molte delle informazioni che abbiamo sulla situazione dei bambini sono il risultato di indagini realizzate a domicilio, in particolare le Indagini su campione a indicatori multipli (MICS).

Definite e supportate dall’UNICEF, le rilevazioni MICS sono condotte dalle autorità statistiche nazionali e raccolgono dati disaggregati su una gamma di argomenti che riguardano la sopravvivenza dei bambini, lo sviluppo, i diritti e i comportamenti.

A oggi, le indagini MICS sono state condotte in più di 100 Stati. Le ultime indagini sono state realizzate attraverso interviste che sono state condotte in più di 650.000 famiglie in 50 Stati.

«Sono passati 30 anni da quando, con il suo rapporto annuale “La Condizione dell’infanzia nel mondo”, l’UNICEF ha iniziato a pubblicare statistiche a livello globale e nazionale, per fotografare la situazione dei bambini nel mondo» ricorda ancora il Presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera.

«Con il lancio di un’edizione del rapporto dedicata ai dati, l’UNICEF invita i decision-makers e l’opinione pubblica a guardare e utilizzare queste statistiche per realizzare un cambiamento positivo per i bambini. Certamente, da soli i dati non possono cambiare il mondo: tuttavia essi rendono possibile il cambiamento, identificando i bisogni, sostenendo i diritti e misurando i progressi.

Fonte: www.unicef.it

Scarica il Rapporto UNICEF 2014  (in inglese)
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  • Articolo pubblicato il 4 Aprile 2014

Vanno in onda le esperienze dei progetti di Oasi “Campi aperti per il sociale” sul TG3 e TG1 Fa’ la cosa giusta e “Amar” sul TG1.

Il progetto “Campi aperti per il sociale – L’agricoltura sociale per la prevenzione e la riduzione del disagio minorile” è svolto dall’Associazione Oasi in collaborazione con la Rete delle Fattorie Sociali. Il progetto prevede la messa a punto e la sperimentazione di uno o più modelli di intervento per minori in situazione di disagio che integri i fattori assistenziali con quelli produttivi e del lavoro.
Per visualizzare il video sul TG3 clicca qui, per visualizzare l’intervista su Tg1 Fa’ la cosa giusta clicca qui

Il progetto “AMAR – Agenzia di Mediazione Abitativa di Roma” è gestito da Programma Integra in partenariato con Oasi, il Dipartimento Politiche Sociali, Sussidiarietà e Salute di Roma Capitale e l’Associazione Spirit Romanesc. L’obiettivo del progetto è contribuire all’integrazione socio-economica dei migranti e promuovere la convivenza pacifica tra comunità attraverso la creazione di un’agenzia finalizzata all’erogazione di servizi di mediazione sociale in ambito alloggiativo che possano supportare i migranti in tutto il percorso di inserimento abitativo.
Per visualizzare il video clicca qui

  • Articolo pubblicato il 4 Aprile 2014

In occasione della VII Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo dal tema Autismo e lavoro: insieme si può (World Autism Awareness Day), sancita dalle Nazioni Unite con la risoluzione 62/139 del 18 dicembre 2007, ricorrenza che si festeggia ogni 2 aprile in tutto il mondo, gli istituti e le associazioni promotrici che operano da tempo sul territorio locale e nazionale (CulturAutismo, Gruppo Asperger onlus, ANGSA Lazio, Asperger Pride, Il prisma, Laboratorio di Neuroscienze Cognitive e Sociali – Università di Roma La Sapienza, Partnership Tecnica: ASD Atletica Roma Acquacetosa) organizzano a Roma nei giorni 5 e 6 aprile 2014 un evento sportivo, sociale e culturale la cui partecipazione è aperta a tutti. La manifestazione ha lo scopo di sensibilizzare l’ambiente e diffondere la conoscenza dell’Autismo per sostenere le persone e le loro famiglie, migliorarne le condizioni di vita e promuovere le competenze educative e sociali che ampliano le opportunità di inclusione nella comunità, creare opportunità di confronto tra i professionisti che operano a vario titolo nel settore orientando il lavoro clinico e la ricerca. L’evento si articolerà in due giornate: sabato 5 aprile si incontreranno presso il Salaria Sport Village di Roma la ItalianAttori, il Gruppo Romano Giornalisti Sportivi (USSI) e Squadra Calcio Psicologi in un triangolare di calcio a scopo benefico dove interverranno anche le associazioni, clinici e ricercatori impegnati nel settore mentre domenica 6 aprile presso il CSA La Torre (Parco Naturale Riserva dell’ Aniene) si svolgeranno attività sportive e ricreative, presentazione di progetti realizzati da persone nello spettro Autistico e dove saranno allestiti punti informazione dedicati al tema della manifestazione a disposizione di tutti i presenti.

L’evento è organizzato da: Laboratorio Scienze Cognitive e Sociale Università La Sapienza, ANGSA Lazio, Il Prisma, Gruupo Asperger Onlus, Asperger Pride, Culturautismo e patrocinato da: Ordine degli Psicologi del Lazio, Roma Capitale Dipartimento Sport, Federugby, Fidal, Uisp, Italianattori, Ussiroma.

Per scaricare la locandina degli eventi clicca qui. per scaricare la locandina della triangolare di calcio clicca qui

Fonte:  ordinepsicologilazio.it

  • Articolo pubblicato il 4 Aprile 2014
In Italia tre milioni e mezzo di anziani abitano da soli, spesso in grandi case che non riescono più a mantenere. Un numero sempre maggiore ricorre alla nuda proprietà, ma adesso è nato un nuovo fenomeno. Si chiama silver cohousing e può essere la soluzione per salvare pensione e risorse pubbliche. Le storie di chi ha scelto di vivere insieme la terza età.

Anna e Paola hanno iniziato a bere un caffè insieme, poi una partita a carte, a volte un dolce il pomeriggio. Una coabitazione quella tra le due donne, nata quasi per caso. La loro esperienza è solo un esempio di un fenomeno che sta cercando di prendere forma e di espandersi in tutta Italia. Si chiama “Silver Cohousing”, silver come il colore argento dei loro capelli grigi, cohousing come la possibilità di condividere l’alloggio e le esigenze della vita quotidiana: spesa, bollette, affitto e, non ultima, la voglia di non sentirsi soli. Secondo le ultime previsioni dell’Istat nel 2050 ci saranno 263 anziani ogni 100 giovani e il cohousing può rappresentare una valida alternativa alla nuda proprietà, un rimedio per integrare la propria pensione, fortemente in crescita negli ultimi anni. “L’aumento degli over 65 ci spinge a trovare nuove forme di aiuti economici e sociali” racconta Sandro Polci, esperto del Centro Ricerche Cresme e curatore di “Condivisione Residenziale. Il silver cohousing per la qualità urbana e sociale in terza età”, volume promosso dalla Fondazione Gianfranco Imperatori che vuole aiutare a mettere in contatto anziani per esperienze di convivenza che a volte nascono anche in modo spontaneo
Proprio come quella tra Anna e Paola. La prima è una vedova napoletana che nei periodi di festa andava a trovare il figlio Ciro a Roma, mentre Paola (che abita nello stesso condominio del figlio di Anna), è una donna rimasta sola in un appartamento troppo grande. All’inizio il loro rapporto era limitato alle regole del buon vicinato, poi, Ciro, il figlio di Anna ha lanciato la proposta:  “Nel mio palazzo ci sono diverse anziane”, racconta, “che spesso si riuniscono il pomeriggio per spezzare con qualche chiacchiera una giornata di solitudine. Da qui l’idea di introdurre anche mia madre ‘nel circolo’”. E l’idea ha funzionato perché non solo la signora Anna si è sentita meno sola, ma ha iniziato con il rispettare religiosamente l’appuntamento con le nuove amiche. Dal cucinare insieme, le due donne sono passate a scambiarsi favori reciproci come farsi la spesa e acconciarsi i capelli. “Un giorno”, spiega Ciro “parlando con mia sorella abbiamo pensato che la soluzione migliore per tutti fosse vendere la casa di Napoli e far trasferire definitivamente mia madre a Roma. Il risultato è stato dei più inaspettati: non solo ha accettato di separarsi dalla sua terra di origine, ma quando stavo qualche giorno fuori restava a dormire dalla mia vicina”. Il silver cohousing è iniziato così tra Anna e Paola, senza un progetto preciso o l’idea di ottimizzare le spese. “Anna”, racconta Paola, “è entrata nella mia vita piano piano e oggi ci occupiamo l’una dell’altra. Il problema degli spazi è inesistente: ho una casa molto grande e dopo la scelta di trasferirsi da me ho creato una stanza ad hoc per lei. Non le chiedo un affitto, ma solo di aiutarmi con le bollette e la gestione delle faccende domestiche”. “Oggi mi sento una privilegiata”, aggiunge Anna soddisfatta. “Apro la porta, faccio tre metri e sono a casa di mio figlio, con la consapevolezza di non essere più un peso per lui e di essere invece un aiuto per Paola, sia economico che morale”. Il loro esempio nel quartiere sta facendo da apripista a nuove esperienze che potrebbero concretizzarsi nel futuro.

Fonte: splendidisessantenni.blogspot.it

Cohousing e case condivise – l’abitare

Indagine Silver CoHousing

  • Articolo pubblicato il 4 Aprile 2014

Rimettere l’infanzia al centro dell’agenda politica, garantire le risorse, definire i livelli essenziali delle prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali di bambini e ragazzi. Queste alcune richieste rivolte al governo dai referenti dei network di associazioni e operatori intervenuti stamani alla Quarta Conferenza nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza. L’evento, organizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha preso il via ieri e si è concluso lo scorso 28 marzo, a Bari.

Due giornate dense di interventi e momenti di confronto, che hanno registrato una grande partecipazione di operatori, amministratori, studiosi, rappresentanti di istituzioni e associazioni e giovani.

La conferenza, intitolata Investire sull’infanzia, ha voluto richiamare l’attenzione sull’importanza dell’investimento precoce sui bambini in termini di ritorno economico alla comunità e ha dato il via a un’ampia consultazione tra le amministrazioni centrali e territoriali, le associazioni, il privato sociale, le imprese e tutti gli attori che si occupano di minori in vista della formulazione del Piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.

La seconda giornata di lavori, aperta dall’intervento di alcune ragazze che hanno preso parte al progetto Partecipare, infinito presente promosso dal Pidida, è stata dedicata alla restituzione dei lavori delle quattro sessioni parallele che si sono svolte il giorno precedente, incentrate sui seguenti temi: Bambini e povertà delle famiglie, Bambini e ragazzi fuori dalla propria famiglia, Dall’integrazione all’inclusione, Servizi socio educativi per la prima infanzia: pari opportunità di partenza?

I lavori sono proseguiti con una tavola rotonda sul tema Verso il nuovo Piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, a cui sono intervenuti, fra gli altri, oltre ai referenti dei network di associazioni e operatori che hanno presentato le loro richieste, il Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza Vincenzo Spadafora e la vicepresidente della Commissione bicamerale per l’infanzia Enza Blundo.

Le conclusioni sono state affidate al sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali Teresa Bellanova, che ha sottolineato l’importanza del lavoro di rete tra tutti i soggetti che si occupano di minori e ha detto che l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza sarà insediato in tempi brevissimi. L’annuncio era stato anticipato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti.

Durante la due giorni sono stati presentati il volume Parole nuove per l’affidamento familiare. Sussidiario per operatori e famiglie e due pubblicazioni del Centro nazionale: la ricerca Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine. Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31 dicembre 2010, promossa dal Ministero, realizzata dall’Istituto degli Innocenti di Firenze e pubblicata nel Quaderno 55 curato da Valerio Belotti, e il numero 3/2012 della rivista Cittadini in crescita.

Il Sussidiario – guida operativa rivolta agli operatori del pubblico e del privato sociale, alle reti e associazioni di famiglie affidatarie e a tutti coloro che, a diverso titolo, si occupano di affidamento familiare – è uno dei principali strumenti a supporto della sperimentazione delle Linee di indirizzo per l’affidamento familiare.

Il programma completo dell’evento è disponibile sul sito della conferenza. (bg)

Fonte: www.minori.it

  • Articolo pubblicato il 4 Aprile 2014
Sono più di 8.000, per il 61% maschi italiani. Furti (26%), lesioni (14%), rapine (11%) e stupefacenti (8%) i reati più frequenti

Le persone sotto i 21 anni in carico ai servizi della giustizia minorile al 1° gennaio 2012 sono 13.500. Di questi, i giovani adulti (18-21 anni) rappresentano il 61% (più di 8.000), per oltre il 50% presi in carico prima del compimento dei 18 anni. Tra quelli presenti negli istituti penali per minorenni (1.252), i giovani adulti rappresentano il 26%, mentre erano il 23% nel 2009 e il 16% nel 2008. Dal punto di vista anagrafico, si tratta per il 61% di maschi italiani, per il 30% di maschi stranieri, per l’1% di femmine italiane e per il 7% di femmine straniere. La presenza media giornaliera nel 2012 è stata di 241 minorenni e 2.267 giovani adulti. Il 67% dei giovani adulti è in custodia cautelare, a fronte del 18% dei minorenni. I reati più frequenti sono i furti (26%), le lesioni volontarie (14%), le rapine (11%) e gli stupefacenti (8%).

Questi sono alcuni dei dati analizzati nella ricerca «Giustizia e giovani adulti», condotta dal Censis, con la collaborazione della Fondazione Don Luigi Di Liegro, per conto del Dipartimento per la Giustizia Minorile-Ufficio Studi, ricerche e attività internazionali. La ricerca trae spunto dalla crescente presenza di giovani di 18-21 anni nelle strutture di detenzione e in carico ai servizi sociali di esecuzione penale esterna della giustizia minorile, e dalla necessità di fare chiarezza sulle caratteristiche del fenomeno e sui problemi di carattere organizzativo e strategico che ne derivano.

Tra coloro che sono stati presi in carico dagli Uffici di servizio sociale per minorenni (5.262 al 1° gennaio 2012), i giovani adulti costituiscono il 26% del totale, e sono per il 74% maschi italiani, per il 16% maschi stranieri, per il 9% femmine italiane e per il 2% femmine straniere.

Gli esiti dei provvedimenti di sospensione del processo e messa alla prova emessi tra il 2008 e il 2011 sono risultati positivi per il 79% dei minorenni e per l’83% dei giovani adulti.

Tra i collocati in comunità (in totale 2.038 al 1° gennaio 2012), i giovani adulti costituiscono il 15%, e sono per il 64% maschi italiani, per il 31% maschi stranieri, per il 2% femmine italiane e per il 3% femmine straniere.

Dalla ricerca è emerso che la presenza di giovani adulti nelle strutture minorili sta diventando un fenomeno strutturale, che richiede un impegno maggiore e una formazione ad hoc per gli operatori. Pur considerando quasi sempre la diversità dei bisogni e delle aspettative delle due componenti, l’impostazione tipica del contesto minorile è quella di basarsi sul progetto educativo individualizzato, che non discrimina i soggetti né per età, né per sesso, né per nazionalità.

Si conferma la validità della permanenza dei giovani adulti nelle strutture per minorenni fino alla fine della pena, per non tradire il principio della devianza come fenomeno reversibile e affrontabile nella misura in cui il lavoro sulla personalità e sulle esigenze educative del ragazzo prevalga sulla funzione meramente restrittiva della sanzione, anche a fronte del fenomeno dell’adolescenza protratta e dell’acutizzarsi delle difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e di acquisizione di una reale autonomia. In tale scenario, il diciottesimo anno di età non costituisce un limite reale per il passaggio allo stato adulto, per il quale occorre più tempo e più formazione.

Questi sono alcuni risultati della ricerca «Giustizia e giovani adulti» realizzata dal Censis, con la collaborazione della Fondazione Don Luigi Di Liegro, per conto del Dipartimento per la Giustizia Minorile-Ufficio Studi, ricerche e attività internazionali. La ricerca è stata presentata a Roma da Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, Caterina Chinnici, Capo del Dipartimento della Giustizia Minorile, Carla Collicelli, Vice Direttore del Censis, Isabella Mastropasqua, Direttore dell’Ufficio IV del Dipartimento della Giustizia Minorile, con interventi, tra gli altri, di Massimo De Pascalis, Direttore Generale dell’Istituto superiore di studi penitenziari, e Luigina Di Liegro, Presidente della Fondazione Di Liegro.

Fonte: censis.it

  • Articolo pubblicato il 1 Aprile 2014

Va in onda in un servizio del TG3 l’esperienza del progetto di Oasi, in collaborazione con la Rete delle Fattorie Sociali, “Campi aperti per il sociale – L’agricoltura sociale per la prevenzione e la riduzione del disagio minorile“.
Il progetto prevede la messa a punto e la sperimentazione di uno o più modelli di intervento per minori in situazione di disagio che integri i fattori assistenziali con quelli produttivi e del lavoro.

Per visualizzare il video:

http://m.youtube.com/watch?v=eL2Xm9H9RHw