Assistenza tecnica a Roma Capitale, Dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della Salute, nell’ambito del progetto “Cabina di regia per il Piano cittadino”, in attuazione della legge 285/97 – “Azione B: Intervento di assistenza tecnica per la qualità dei processi di programmazione, gestione e monitoraggio amministrativo” (altro…)
Meno matrimoni in Italia. Si tratta, secondo l’Istat, di una diminuzione in corso dal 1972 ma che negli ultimi 4 anni si è particolarmente accentuata.
“Nel 2011 sono stati celebrati in Italia 204.830 matrimoni (3,4 ogni 1.000 abitanti), 12.870 in meno rispetto al 2010 -si legge nella nota dell’istituto. Tale tendenza alla diminuzione è in atto dal 1972, ma negli ultimi quattro anni si è particolarmente accentuata: infatti, la variazione media annua è stata del -4,5% tra il 2007 e il 2011, a fronte di un valore del -1,2% rilevato negli ultimi 20 anni”.
Sostiene l’Istat che “il fenomeno ha interessato praticamente tutte le regioni. Nel periodo 2008-2011 il calo più marcato si è osservato in Sardegna (-7,7%), in Campania e nelle Marche (-6,9%) e in Abruzzo (-6,6%)”. Nel particolare a diminuire sono soprattutto le prime nozze tra sposi entrambi di cittadinanza italiana: “155.395 celebrazioni nel 2011, circa 37 mila in meno negli ultimi quattro anni. Questa differenza spiega da sola l’82% della diminuzione osservata per il totale dei matrimoni nel 2008-2011”.
In calo pure i matrimoni misti: “Un altro 17% della diminuzione totale è dovuto ai matrimoni in cui almeno uno dei due sposi è di cittadinanza straniera: nel 2011 sono state celebrate 26.617 nozze con almeno uno sposo straniero (pari al 13% del totale), quasi 8 mila in meno rispetto al 2007, nonostante la lieve ripresa dell’ultimo anno. In particolare, i matrimoni misti, cioè quelli in cui appunto un coniuge è italiano e l’altro straniero, ammontano a 18 mila nel 2011 (5.555 in meno rispetto al 2007)”.
Diminuiscono anche i secondi matrimoni: “da 34.137 del 2008 a 31.048 del 2011, ma la loro quota sul totale è in crescita dal 13,8% del 2008 al 15,2% del 2011”. Le nozze sono sempre più tardive: “L’età media al primo matrimonio degli uomini è pari a 34 anni e quella delle donne a 31 anni”. Altro dato sui riti religiosi: “Nel 2011 sono state celebrate 124.443 nozze, 39 mila in meno rispetto al 2008. I matrimoni civili subiscono una flessione più contenuta dovuta a quelli che riguardano cittadini stranieri. Per i primi matrimoni di coppie italiane, al contrario, la quota di unioni celebrate con rito civile è in continuo aumento: dal 18,8% del 2008 al 24% del 2011”.
Infine “si conferma la prevalenza dei matrimoni in regime di separazione dei beni (due su tre) e non si riscontrano più differenze di rilievo nelle diverse ripartizioni”.
Fonte: Agenzia Dire
Le Linee di indirizzo per l’affidamento familiare si inseriscono nel progetto nazionale “Un percorso nell’affido”, attivato nel 2008 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con il Coordinamento Nazionale Servizi Affido, il Dipartimento per le Politiche della famiglia, la Conferenza delle Regioni e Province autonome, l’UPI, l’ANCI e il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza.
Per le Linee guida è stata individuata una struttura di indice suddivisa per tre macroaree: 1. i soggetti e il contesto; 2. le caratteristiche e le condizioni per l’affidamento familiare; 3. il percorso di affido.
I temi affrontati trattano in maniera trasversale l’organizzazione dei servizi, gli strumenti e i rapporti con l’autorità giudiziaria.
Il primo capitolo pone particolare attenzione alla definizione di affidamento familiare e all’individuazione dei soggetti coinvolti, in quanto ogni affido nasce ed è reso possibile dal coinvolgimento di più attori, ciascuno dei quali svolge un ruolo preciso all’interno del progetto: il bambino e la sua famiglia di origine, la famiglia affidataria, le associazioni e le reti di famiglie, il territorio.
Il secondo capitolo descrive le caratteristiche dell’istituto dell’affidamento familiare e le diverse tipologie di affido, in quanto le differenti condizioni e situazioni dei minori e delle loro famiglie in gravi difficoltà rendono non solo opportuno ma anche necessario prevedere una pluralità di forme di affidamento al fine di rispondere in modo eterogeneo, flessibile e modulare ai bisogni diversi e in evoluzione.
Il terzo capitolo focalizza l’attenzione sul percorso di affido a partire dalla promozione e dall’informazione che hanno l’obiettivo di stimolare e far maturare nuove risorse familiari disponibili a realizzare progetti di affidamento familiare e di ampliare la consapevolezza e la conoscenza rispetto a cosa sia esattamente questo istituto e su come funzioni.
Fonte: www.minori.it
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Porre le basi per un mercato del lavoro europeo per ridurre il numero di disoccupati. Con questo obiettivo, la Commissione europea ha proposto una riforma dell’EURES, la rete paneuropea dei servizi per l’impiego.
Le nuove proposte mirano ad aumentare la mobilità dei lavoratori all’interno dell’Unione europea, a facilitare il contatto con i datori di lavoro che richiedono persone con competenze specifiche e a sostenere programmi mirati di mobilità per i giovani.
Una rete “giovane”
La nuova versione della rete EURES sarà più orientata ai giovani, che hanno una maggiore propensione a spostarsi, e darà risalto a forme di occupazione che combinano lavoro e apprendimento, come i tirocini. Il portale EURES sarà infine rinnovato con l’aggiunta di strumenti per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e per semplificare l’accesso ai servizi di informazione sul mercato del lavoro.
Più partner, più opportunità
La riforma permetterà di aumentare il numero di partner che offrono servizi di mobilità attraverso EURES e realizzerà una cooperazione tra servizi per l’impiego pubblici e privati al fine di ampliare la copertura dei posti disponibili, attualmente pari al 30-40% dei posti vacanti complessivi.
L’attuazione della decisione da parte della Commissione e degli Stati membri è prevista per il 1° gennaio 2014. Per quella data tutti i paesi partecipanti dovranno aver designato servizi specializzati che organizzino la riforma, lavorino con i nuovi partner e sviluppino i servizi mirati necessari.
Rispondere a specifiche esigenze economiche
Nonostante l’alto livello di disoccupazione (più di 25 milioni di persone nell’UE), vi sono ancora carenze di manodopera e posti di lavoro difficili da occupare. Dalla metà del 2009 il numero di posti vacanti è infatti in aumento, in particolare nei settori a forte crescita, come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e l’economia verde.
Una volta riformata, la rete EURES sarà in grado di mettere in collegamento le persone in cerca di un lavoro – o che desiderano cambiarlo – e i posti di lavoro vacanti, mentre i datori di lavoro potranno più facilmente accedere a un vasto bacino di candidati nel quale trovare le persone con le competenze di cui hanno bisogno per sviluppare e far crescere la loro impresa. La nuova decisione della Commissione permetterà perciò a EURES di rispondere direttamente a specifiche esigenze economiche.
Cos’è EURES?
EURES è un rete per la ricerca di posti di lavoro, costituita dai servizi per l’impiego di 31 paesi europei, ossia gli Stati membri dell’UE, i paesi SEE (Norvegia, Islanda e Liechtenstein) e la Svizzera.
Il portale EURES è un servizio gratuito che fornisce informazioni in 25 lingue sulle condizioni di vita e di lavoro in tutti i paesi partecipanti. Il sito web riceve 4 milioni di visite mensili, stabilisce 150 000 contatti al mese tra persone in cerca di lavoro e datori di lavoro producendo circa 50 000 impieghi all’anno e una media, calcolata in un dato momento di un determinato mese, di 750 000 curricula ospitati. Nel portale EURES è infine possibile consultare il calendario degli eventi che raccoglie centinaia di eventi organizzati in tutta Europa.
Contesto
Il principio della libera circolazione dei lavoratori consente ai cittadini dell’UE di cercare lavoro in un altro paese dell’UE, trasferirvisi senza bisogno di un permesso di lavoro.
Attualmente i cittadini dell’Unione residenti in uno Stato membro diverso da quello di cui posseggono la nazionalità rappresentano solo il 3,1% della popolazione attiva dell’UE. Il loro numero è peraltro aumentato quasi del 60% dal 2005 sull’onda soprattutto degli allargamenti del 2004 e del 2007.
Nel complesso si stima che nel periodo 2004-2009 i flussi di mobilità dopo l’allargamento abbiano prodotto un incremento del PIL dei paesi dell’UE a 15 dell’1% circa. La crisi economica tuttavia ha comportato una diminuzione dei flussi di mobilità tra paesi dell’UE: nel periodo 2009-2011 sono diminuiti di un terzo rispetto al periodo 2006-2008.
Fonte: ec.europa.eu
Orientamento e mediazione culturale presso l’ospedale “Sandro Pertini” e nei consultori familiari di via di Pietralata e via delle Canapiglie.
Facilitare l’accesso alla sanità romana per i cittadini stranieri. Assistendoli soprattutto nella comprensione linguistica e nell’orientamento ai servizi socio-sanitari. E’ l’obiettivo primario del progetto sperimentale “Artemide”, che prevede la partenza – a gennaio 2013 – di sportelli di mediazione linguistica e culturale presso il pronto soccorso, percorso ostetrico-ginecologico e percorso pediatrico, dell’ospedale “Sandro Pertini” (via dei Monti Tiburtini 385) e nei consultori familiari di via di Pietralata 497 e di via delle Canapiglie 88, a Torre Maura.
L’iniziativa, promossa dalla Fondazione IntegrA/Azione in collaborazione con la Asl Roma B e cofinanziata dall’Unione europea e dal ministero dell’Interno, è stata presentata a Roma, nell’aula magna dell’ospedale “Sandro Pertini” alla presenza del Sen. Francesco Ferrante, vice presidente di Fondazione Integra/Azione e del Prof. Massimo Giovannini, direttore del dipartimento Materno Infantile e Tutela della Genitorialità ASL RMB, insieme alle dott.ssa Patrizia Auriemma, direttore dell’UOC Procreazione Cosciente e Responsabile Asl RMB.
“Dal diretto contatto con la realtà della Asl Roma B è emersa la necessità di attivare strategie per promuovere la salute dei cittadini stranieri. – racconta Francesco Ferrante, vicepresidente di Fondazione IntegrA/Azione e responsabile del progetto – Per questo motivo siamo soddisfatti di aver potuto agire concretamente affinchè l’accoglienza delle persone straniere si manifesti anche in un corretto rapporto medico/paziente. I problemi emersi vanno dalle difficoltà comunicative tra personale e utenza straniera, che includono anche l’assenza dei moduli di consenso informato multilingue, alla mancanza di collegamenti tra sanità e comunità straniere per la promozione di servizi o per la diffusione di campagne sanitarie”.
L’anno scorso ben il 57% delle donne che hanno potuto usufruire dei consultori erano straniere. Una realtà sempre più diffusa come ha confermato anche il Prof. Massimo Giovannini, direttore del dipartimento Materno Infantile e Tutela della Genitorialità ASL RMB: “La più grande difficoltà è far arrivare i pazienti alle informazioni corrette. Tanto che, per fare un esempio, spesso capita che le donne straniere in gravidanza passino per il Pronto Soccorso in seguito a un percorso gestazionale non corretto. Così come i casi di violenza sulla donna, quando l’unico tramite tra l’operatore sanitario e la vittima è lo stesso uomo che ha usato violenza, il lavoro di aiuto e soccorso è totalmente ostacolato. Non di meno sono le difficoltà con i casi di abbandono del neonato”.
Oltre ai responsabili del progetto è intervenuta Tizianella Chiodetti, delegata all’integrazione socio sanitaria Municipio Roma X, Marilena Stiscia, mediatrice culturale e Monica Pasquino, presidente associazione di promozione sociale SCOSSE.
Il Progetto infatti include altri servizi che ricadono in un’area – Municipi V, VII, VIII e X – con altissima presenza di cittadini extracomunitari (circa 80mila sui 297mila dell’intera città metropolitana). Come la realizzazione di alcune guide di educazione sanitaria in quattro lingue (inglese, francese, spagnolo e arabo), in particolare sui temi dell’allattamento al seno, della crescita del neonato e dell’assistenza della donna nel periodo di gestazione.
“In un territorio che ospita più di 700.000 residenti– ha dichiarato la dott.ssa Patrizia Auriemma, direttore dell’UOC Procreazione Cosciente e Responsabile Asl RMB – nel solo 2011 abbiamo registrato 7.173 parti, di cui 1671 bambini sono nati da donne straniere. In questa situazione vuole dire tanto poter migliorare la reciproca comprensione per la maggiore efficacia possibile della cura”.
I mediatori, da gennaio, saranno impegnati per 30 ore a settimana per ognuno dei due consultori e per 40 ore presso il punto di accoglienza del pronto soccorso del Sandro Pertini. Qui, oltre all’opera di mediazione linguistico-culturale, sarà attivo un servizio di orientamento per l’utenza. Tutto gratuitamente.
Fonte: controluce.it
L’indagine dell’Osservatorio Isnet sulle imprese sociali fa il punto sui progetti di start up delle imprese sociali.
E’ sempre più acceso il dibattito su innovazione – innovazione sociale e start up di impresa, presentata ad oggi come il vero motore dell’occupazione, in particolare quella giovanile.
L’Osservatorio Isnet, ha monitorato i progetti di start up esistenti per misurare il livello di dinamicità dell’impresa sociale in questi ambiti.
Il 15% del panel di imprese sociali dell’Osservatorio, , afferma di avere avviato nell’ultimo anno (2011) progetti di start up di impresa.
Si tratta prevalentemente di Consorzi di Cooperative sociali localizzati nel Nord Italia, con un sentiment di andamento economico più positivo e un indice di innovazione più alto rispetto al campione generale. Sono queste le imprese che presentano il miglior dinamismo occupazionale: il 26,7% delle organizzazioni che ha progettato start up prevede di aumentare il personale da qui al 2013 (contro il 19% delle organizzazioni del campione generale).
Interrogate sull’autopercezione del proprio posizionamento di mercato, le imprese sociali che progettano start up si riconoscono come organizzazioni a valore contemporaneamente economico e sociale.
Alla domanda “fatto 100 il valore complessivamente generato dall’organizzazione quanto si traduce in valore economico e sociale”, le imprese interpellate valutano al 50% rispettivamente il valore economico e quello sociale.
Secondo Laura Bongiovanni, Presidente dell’Associazione Isnet e Responsabile dell’Osservatorio, le esperienze fotografate attraverso l’indagine sono testimonianza del fatto che l’impresa sociale, anche in tema di start up, non è disponibile a compromessi rispetto a modelli di crescita inclusivi e sostenibili, e conferma la sua vocazione a rispondere in modo creativo ai bisogni della popolazione.
Secondo Paolo Venturi, Direttore di Aiccon -Associazione Italiana per la Promozione della Cultura della Cooperazione e delle Organizzazioni Non Profit –la crescente pressione di bisogni insoddisfatti, offre al mondo dell’impresa sociale l’opportunità di promuovere una nuova generazione di “start up” ad alto impatto sociale. L’imprenditorialità diventa così uno strumento per offrire nuove risposte alla comunità, attraverso imprese caratterizzate da un alto tasso di innovazione.
Fonte: confinionline
Salvamamme: il Centro Nutrizionale del Bambino compie 3 anni.
Sviluppati 700.000 euro in beni di prima necessità, i materiali sono stati forniti gratuitamente anche da aziende. Sostenuti oltre 6000 utenti, il 19% italiani. Un progetto promosso dall’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale, in collaborazione con il Municipio Roma II. Belviso: “Salvamamme, una fabbrica di solidarietà”
Si sono svolti i festeggiamenti per il terzo anno del Centro Nutrizionale del bambino dell’Associazione Salvamamme, presso il Centro di Via degli Olimpionici 19, insieme al Vice Sindaco di Roma Capitale, Sveva Belviso e ai bambini cresciuti grazie a questo progetto fortemente voluto e sostenuto dall’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale, in collaborazione con il Municipio Roma II.
“Questo progetto è diventato in soli tre anni, grazie alla collaborazione di una equipe di operatori specializzati e professionali, una realtà straordinaria e unica in Italia”. È quanto dichiara il vicesindaco di Roma Capitale, Sveva Belviso. “In questi anni sono state migliaia – continua Belviso – le mamme e i bambini, italiane e straniere che, grazie a questo progetto, hanno potuto ricevere un sostegno concreto e importante, dall’assistenza medica e psicologica, ai consigli per l’igiene, fino ai prodotti per una corretta alimentazione specifici per l’infanzia, dalla fase prenatale allo svezzamento. Questa iniziativa – prosegue Belviso – nasce con l’obiettivo di essere al fianco dei piccoli e delle loro famiglie che si trovano in situazioni di difficoltà, e rappresenta un punto di riferimento per tutte quelle donne che vivono nell’emergenza e nella povertà, e che spesso non sanno a chi rivolgersi. In un momento di forte crisi economica – conclude Belviso – è importante poter contare su un progetto di soccorso e di aiuto sociale dedicato a chi ha più bisogno”.
“Il Centro in questi 3 anni di avvio ha sviluppato 700.000 euro in beni di prima necessità, inoltre, in qualche caso i materiali sono stati forniti gratuitamente da aziende. Il Centro è diventato così una realtà straordinaria, sono stati sostenuti oltre 6000 utenti, 2634 donne e 3448 bambini, circa il 19% italiani, il 32% proviene dall’America il 27% africana, il 14% è europea, il 7% asiatica – ha dichiarato Grazia Passeri, Presidente Salvamamme, che ha poi aggiunto – in questa occasione ringraziamo i residenti della zona che si sono offerti di fare volontariato e festeggiamo anche la giornata dedicata all’infanzia, Salvamamme, in questo modo, intende ricordare la priorità del diritto di una crescita sana del bimbo fin dal grembo materno”.
Le donne che hanno partecipato al progetto, sono state inviate al Centro con relazione dai servizi sociali di Roma Capitale, per la loro condizione di disagio socio-economico. Infatti, molte mamme sono prive di occupazione, o lavorano solo qualche ora, e nei casi dove il compagno è presente, quest’ultimo ha lavori saltuari o è disoccupato. Il Centro le ha sostenute con generi alimentari, integratori, latte di formula, dove presente prescrizione del pediatra, prodotti per l’igiene, per un totale di oltre 200.000 prodotti distribuiti, tra pezzi singoli e confezioni. Ogni singolo oggetto è stato quietanzato e se ne conserva ricevuta, in conformità alla normativa sulla riservatezza dei dati personali. Inoltre, sono centinaia le donne che hanno partecipato a numerosi corsi organizzati dal pediatra, dalla ginecologa e dall’ostetrica sulla preparazione e sull’allattamento al seno, sulla alimentazione della donna durante la gravidanza, sullo svezzamento del bambino, sull’igiene in gravidanza, la prevenzione delle comuni malattie.
Fonte: Confinionline
Indagine Auser sulle residenze sanitarie assistenziali. Il costo a carico delle famiglie arriva fino a 1.400 euro al mese. Tra le altre criticità: errato inquadramento dei dipendenti e pochi infermieri professionali
ROMA – Una realtà disomogenea e frammentata: con tariffe troppo care (anche 100 euro al giorno) e in continuo aumento, liste d’attesa interminabili e scarsa comunicazione. È il mondo delle residenze sanitarie assistenziali (Rsa), le strutture dedicate all’assistenza degli anziani non autosufficienti indagate dall’Auser nella ricerca presentata a Roma. Considerando un campione di 1.280 Rsa, tra il 2007 e il primo semestre 2012 le rette sono salite del 18,5% per la minima e del 12,8% per la massima. A giugno di quest’anno il costo giornaliero per un ospite è di 52 euro nel caso di retta minima e di 60,5 euro per la retta (+1,4 per cento rispetto a sei mesi prima). I maggiori aumenti sono in Campania, Piemonte, Lombardia e Sicilia. Nella provincia di Varese si registrano l’aumento più consistente (+3,1 euro per le rette massime) e costi per l’utenza più elevati (61,5 euro per la retta minima e 70,5 euro per la massima). Il costo a carico delle famiglie varia dai 1.100 euro mensili delle strutture residenziali fino ai 1.400 euro per quelle di tipo sociosanitario e va dai 250 agli 800 euro al mese per i centri diurni Alzheimer. Il “Network Non Autosufficienza” nel suo terzo rapporto evidenziava che nel 2006 il costo medio mensile di una Rsa era di 2.951 euro, di cui 1.505 euro gravano sulle Asl, 1.375 euro sull’utente e 71 euro sui comuni, per un costo giornaliero medio di 97 euro.
Le alte tariffe sono spiegate dall’Auser con “la recente ripresa dei livelli di inflazione, il desiderio di profitto dei gestori, la carenza di modelli organizzativi efficienti, la riduzione dell’impegno finanziario della quasi totalità delle regioni”. L’analisi di 113 bilanci consente all’associazione di dire che la crisi sembra non aver colpito queste realtà, che anzi hanno utili notevoli e che fanno gola a investitori stranieri, soprattutto francesi. Errato inquadramento dei dipendenti, pochi infermieri professionali e scarsa visibilità di altre figure specialistiche sono le criticità emerse da un’indagine su 129 Rsa. “Questo si può ripercuotere sulla tutela dei diritti e sulla professionalità degli addetti nonché sulla qualità delle prestazioni” avverte Auser. Un’altra area critica è quella delle liste d’attesa, presenti nel 46,3 per cento delle strutture del Nord e nel 48,3 per cento del Sud. Solo il 15 per cento dei referenti di Rsa sa dare indicazioni precise sui tempi di attesa.
“Dall’analisi emerge un quadro nel complesso positivo” sottolinea comunque Auser, che valuta positivamente il diffuso rispetto delle normative (95 per cento) e dei servizi offerti, oltre alla diffusione delle Carte di servizi (88 per cento). In questi documenti però restano scarse le informazioni su come la struttura intende operare (presente solo nel 45 per cento), sui servizi aggiuntivi e sull’organizzazione interna. “Agli ospiti è garantita in genere un’ampia gamma di servizi, tuttavia circa la metà delle Rsa non consente agli utenti di utilizzare i servizi del territorio” conclude Auser, che stila un decalogo per aiutare a scegliere una casa di riposo o una Rsa. Per essere affidabile la struttura deve avere tutte le autorizzazioni ed essere iscritta negli elenchi di competenza, deve predisporre un piano personalizzato per l’utente, fornire la carta dei servizi, non essere in periferia, garantire le figure professionali necessarie, dare pasti adeguati e, possibilmente, favorire l’accesso del volontariato. (Giorgia Gay)
Fonte: superabile.it
Il 20 novembre del 1989 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York approvò il primo trattato giuridicamente vincolante che afferma i diritti di tutti i bambini. In Italia il provvedimento fu ratificato due anni dopo.
La Convenzione cambiò sostanzialmente il modo di vedere i bambini dal punto di vista giuridico. Divennero soggetti di diritti e non più semplice oggetto di tutela e protezione. Ai diritti riconosciuti universalmente come quelli al nome, alla sopravvivenza, alla salute e all’istruzione, ne furono affiancati una serie di nuova concezione. La Convenzione, infatti, riconosce per il bambino il diritto all’identità legale, al rispetto della sua riservatezza e della sua libertà di espressione.
Quando fu approvata, analisti e osservatori definirono la Convenzione come una delle più importanti conquiste del diritto internazionale degli ultimi anni del Novecento. Riconoscendo ufficialmente i bambini come persone, e quindi sullo stesso piano di tutti gli altri componenti della società, il trattato diede gli strumenti e le spinte necessarie a molti paesi del mondo per modificare i loro ordinamenti e per approvare leggi orientate a una maggiore tutela dei minorenni. Portò alla realizzazione di leggi per vietare le punizioni corporali, alla creazione di sistemi di giustizia minorile che fossero distinti e separati da quelli degli adulti, e all’istituzione di sistemi di controllo e verifica della effettiva tutela dei bambini. Molti ordinamenti approvarono anche leggi per sanzionare con maggiore efficacia i genitori che abbandonano i figli o che compiono abusi su di loro.
Nei 23 anni dall’approvazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia sono stati compiuti importanti progressi nella tutela dei bambini nel mondo, ma molto resta ancora da fare. Numerose associazioni e osservatori sui minori ricordano che molti dei principi del trattato a oggi non sono attuati. Ogni anno decine di milioni di bambini in tutto il mondo non hanno la possibilità di vivere la loro infanzia serenamente: molti sono costretti a lavorare e non vanno a scuola. Specifici articoli della Convenzione, come quello sul diritto del minore a essere parte attiva delle decisioni che lo riguardano (articolo 12) e quello che prevede che il principio guida di ogni decisione debba essere “il superiore interesse del bambino” (articolo 3), non sono rispettati nella pratica in molti paesi che hanno nel tempo ratificato la Convenzione.
Fonte: confinionline.it
ROMA – Il carcere italiano è ancora il luogo dei diritti negati: sovraffollamento, assenza di lavoro, difficoltà a garantire la salute, suicidi e violenze sono piaghe che ancora non hanno trovato una cura. Non a caso l’associazione Antigone titola “Senza dignità” il suo nono rapporto sulla condizione delle carceri, presentato lo scorso 19 novembre a Roma, mettendo in evidenza tutti i nodi del sistema che restano da sciogliere. Ed evidenziando un aspetto centrale: nonostante la dichiarazione dello stato di emergenza e le leggi che si sono succedute dal 2009, tra le quali il cosiddetto decreto “svuota carceri”, i detenuti sono quasi 2 mila in più. La legge, dunque, non ha salvato le carceri italiane.
La popolazione detenuta. Sono 66.685 i detenuti al 31/10/2012: in larga parte uomini, giovani, italiani. Gli stranieri sono poco più di un terzo (23.789) e la loro percentuale rimane sostanzialmente stabile. Marocco, Romania, Tunisia le provenienze più presenti. Le donne recluse, invece, sono 2.857. di cui 1.137 straniere. In 13 sono in stato di gravidanza, mentre i bambini che vivono in carcere con le madri sono 53. I reati più diffusi sono quelli contro il patrimonio, seguiti da quelli previsti dal testo unico sugli stupefacenti e da quelli contro la
persona.
Calano gli ingressi: nel primo semestre del 2012 sono stati 32.625 e le previsioni a fine anno parlano di meno di 70 mila ingressi. Un dato senza precedenti. Tra i condannati, oltre il 60 per cento ha un residuo di pena inferiore a 3 anni. Le persone in custodia cautelare sono invece 26.804.
Il sovraffollamento. L’Italia è il paese più sovraffollato d’Europa: ci sono 142 detenuti ogni 100 posti, contro la media Ue di 99,6. Liguria, Puglia e Veneto le regioni con la situazione più critica. Tra gli istituti, in cima alla classifica si piazzano Mistretta in Sicilia, “Canton Monbello” a Brescia e Busto Arsizio in Lombardia. Ma la situazione è ancora peggiore di quello che i dati rilevano: all’appello rispetto alla capienza regolamentare di 46.795 posti ne mancano 5 mila per ristrutturazione.
Le morti e la violenza. Sono 93 i detenuti morti nel 2012, di cui 50 per suicidio. Altri quattro i decessi nelle camere di sicurezza. Tra i reclusi suicidi, poco più di un terzo è di origine straniera. Il più giovane suicida aveva 21 anni, il più anziano 71. Genova Marassi e Firenze Sollicciano gli istituti con il maggior numero di suicidi. Sono 28 i casi di violenze segnalati ad Antigone.
Il lavoro, la scuola, le misure alternative. Meno di un detenuto su cinque svolge attività lavorativa in carcere. Nel primo semestre 2012 hanno lavorato in 13.278 detenuti: è la percentuale più bassa dal 1991. Il rapporto evidenzia che le mercedi sono calate del 71 per cento e sottolinea che spesso lo stipendio mensile per un lavorante è di 30 euro. Nell’anno scolastico 2010/2011 i detenuti impegnati in attività scolastiche erano 15.708, ma solo in 7.015 hanno portato a termine un percorso di studio. In 2.434 erano iscritti a corsi di formazione professionale.
Le misure alternative riguardano (al 30 settembre 2012) 19.107 persone. Tra quelle in corso nel primo semestre del 2012 solo lo 0,57 per cento è stato revocato per la commissione di un nuovo reato.
La carenza di personale e i tagli. Al 30 settembre 2012 la poltrona di oltre un dirigente su 5 non era assegnata. Assenti anche il 27 per cento dei funzionari giuridico-pedagogici (i vecchi educatori), il 35 per cento degli assistenti sociali e quasi il 9 per cento degli agenti di polizia penitenziaria.
Il bilancio del Dap ha subito dei forti tagli: dagli oltre tre milioni di euro del 2007 ai 2,7 milioni di oggi, con oltre 20 mila reclusi in più. Nel frattempo la popolazione detenuta è cresciuta di oltre 20 mila persone.
Le misure insufficienti. La legge sull’ultimo anno di pena ai domiciliari, poi diventati a 18 mesi, ha fatto uscire 8.267 detenuti. “Una piccola cosa”, secondo Antigone, perché il dato va messo in relazione con il numero dei detenuti scarcerati dall’entrata in vigore della legge, oltre 140mila.
Il Piano carceri, ridotto stesura dopo stesura, prevede 11 mila nuovi posti entro il 2013, “molti dei quali fanno capo a carceri in via di costruzione da oltre un decennio, che con il piano non hanno niente a che vedere”. Ridotti dagli originali 11 ai 4 attuali i nuovi istituti previsti e il numero dei padiglioni scende a 17.
Le proposte. Investire su misure alternative, aggiornamento del codice penale, garanzia dei diritti del detenuto, rieducazione, promozione della salute. Le proposte sono contenute nel rapporto presentato da Antigone, che stila un decalogo di azioni necessarie per ripristinare la legalità nelle carceri e restituire la “dignità” ai detenuti e al sistema. (gig)
Fonte: dirittiglobali.it