• Articolo pubblicato il 18 Aprile 2013

Verso nuovi modelli di residenzialità con persone anziane

Animazione Sociale, in collaborazione con realtà di territori diversi, ha intrapreso un percorso per sollecitare le comunità locali – sostenute da un’adeguata “funzione pubblica” – a essere imprenditive nei diversi momenti evolutivi delle famiglie con i loro anziani: sostegno della domiciliarità, lavoro con le assistenti familiari, nuovi modelli di residenzialità, innovazione delle RSA.

Dal convergere tra Animazione Sociale e la cooperativa Koinè di Arezzo, che sta attivando inedite forme di abitabilità, in particolare con la “casa di Michele” (cui è dedicato l’inserto di gennaio 2013 della rivista), nasce il convegno “Verso nuovi modelli di residenzialità con persone anziane”, che si svolgerà ad Arezzo mercoledì 22 maggio 2013, dalle ore 9,00 alle ore 17,30.

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  • Articolo pubblicato il 18 Aprile 2013
“Un’idea positiva e già apprezzata, sia dai detenuti che dai direttori dei penitenziari. Un progetto che porta con sè enormi potenzialità per il concreto reinserimento sociale di chi sta scontando una pena in carcere”. Così il Sindaco di Padova e delegato Anci alla Sicurezza Urbana, Flavio Zanonato, commenta il secondo incontro del Comitato di Gestione del protocollo tra Anci e Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia), finalizzato proprio al reinserimento lavorativo dei detenuti. L’incontro, avvenuto nella sede del Dap a Roma, è stato occasione per mettere a frutto le esperienze già avviate in fase sperimentale, ma soprattutto per definire un piano che da qui a giugno sarà in grado di coinvolgere i primi 50 Comuni nei progetti di reinserimento.
Il caso scuola presentato è proprio quello di Padova, alla luce del quale Zanonato afferma che “l’idea è stata molto apprezzata soprattutto dai detenuti: nessuno, tra coloro a cui è stata proposta la possibilità di lavorare fuori dalle mura del carcere, ha rifiutato”. Allo stesso tempo Zanonato non nasconde che “esistono una serie di problemi, sia dal punto di vista procedurale che dal punto di vista burocratico, che potrebbero limitare la possibilità dei Comuni di aderire in forma compiuta al progetto”. Tra questi, sicuramente, il blocco delle assunzioni imposto agli Enti locali e i vincoli del Patto di stabilità.
Proprio alla luce di queste criticità il Comitato ha stilato una serie di linee guida per i Comuni e un modello standard di adesione, che serviranno a guidare le amministrazioni nelle procedure. Al contempo l’ANCI ha già registrato la disponibilità di 50 Comuni a presentare progetti di adesione al protocollo.
Insomma, sostiene il Direttore generale delle Risorse del Dap, Alfonso Sabella, “Con oggi il progetto inizia finalmente a prendere forma, tanto che speriamo di renderlo completamente operativo già dalle prossime settimane, in modo che entro giugno partano i progetti dei primi 100 Comuni che hanno intenzione di aderire. Siamo soddisfatto soprattutto – conclude Sabelli – per un’iniziativa che contemporaneamente valorizza la funzione rieducativa della pena, promuove l’azione risarcitoria dei detenuti nei confronti della società, non svilisce il loro lavoro e assolve ad una funzione risocializzante e formativa, nell’esclusivo interesse della collettività”.
Fonte: anci.it
  • Articolo pubblicato il 18 Aprile 2013

Il 10 maggio 2013, dalle ore 9.30 alle ore 16.30 si terrà presso la sede dell’Istituto degli Innocenti (Piazza SS.Annunziata 12 Firenze) il seminario di studi “L’accesso alle informazioni sulle origini: percorsi di accompagnamento”. L’evento viene organizzato dall’Istituto degli Innocenti, in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e con il patrocinio della Commissione per le adozioni internazionali e il Coordinamento Nazionale dei Servizi Affido, nell’ambito della attività del Master di II Livello “Il lavoro clinico e sociale con le famiglie accoglienti: affido e adozione”.
Il corso si rivolge a quanti desiderano approfondire strategie e strumenti di sostegno all’accesso alle informazioni sulle origini da parte di adulti e ragazzi adottati, nonché le principali tecniche di reperimento, raccolta e archiviazione dei relativi dati di interesse specifico.

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  • Articolo pubblicato il 17 Aprile 2013

Bullismo e cyberbullismo al centro di un’indagine europea. Presentata la campagna con un video. Ernesto Caffo ricorda i passi avanti di Telefono Azzurro in rete da Fb al sito rinnovato, alla chat per «parlare ai ragazzi là dove sono»

Un fenomeno in evoluzione. È quello del bullismo che si evolve e si modifica e così anche le risposte di contrasto si evolvono di conseguenza. Bullismo e cyberbullismo sono del resto al centro di una campagna europea e di una ricerca realizzata con il progetto E-Abc – Antibullying Campaign che ha coinvolto 16.227 giovani delle scuole superiori di Italia, Grecia, Lituania, Bulgaria, Estonia e Lettonia. Per l’Italia, rappresentata da Telefono Azzurro, hanno partecipato oltre 5mila studenti.

Martedì 9 aprile a Milano è stata lanciata la campagna europea antibullismo che si avvale anche di un video.
Come sottolinea Ernesto Caffo, professore ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università di Bologna, nonché fondatore e presidente di Telefono Azzurro «La campagna mette in risalto non solo le vittime o i bulli, ma anche i testimoni. L’indagine ci dice che il 15% degli adolescenti italiani è vittima di atti di bullismo, mentre il 50% dei ragazzi ha assistito, partecipando e condividendo un’esperienza distruttiva». Il professor Caffo ha anche aggiunto che da parte degli specialisti deve essere aiutata non solo la vittima, ma anche il bullo. I dati della ricerca, infatti, mostrano come vittima e carnefici condividano una serie di fattori di rischio come per esempio i casi di alcolismo in famiglia (rispettivamente il 40.5% e il 40%), o i problemi economici e la disoccupazione delle famiglie di vittime e bulli (23,3% e 22,7).

In questo mese che da sempre Telefono Azzurro dedica alla campagna “Aprile Azurro” l’associazione punta l’attenzione proprio sul bullismo «Accanto alle linee telefoniche (1.9696 e 116.000) e alla chat, al numero di emergenza 114 abbiamo da poco lanciato un’App su Facebook e abbiamo messo online il nostro sito rinnovato, perché è fondamentale parlare ai ragazzi là dove sono presenti», ma non basta. Continua ancora Caffo «ci rapportiamo con la scuola, puntiamo a formare gli insegnanti, lavoriamo molto anche con i progetti europei perché i problemi di bambini e adolescenti del continente sono molto simili anche se nei paesi del Sud Europa il bullismo è presente in misura minore che nel Nord. Quello cui dobbiamo puntare è alla creazione di una rete capace di cogliere le prime difficoltà e offrire le prime risposte».

Non a caso alla presentazione della campagna di Telefono Azzurro erano presenti Sergio Bernasconi, professore ordinario di Pediatria, all’Università di Parma, Giovanni Corsello, ordinario di Pediatria dell’Università di Palermo e presidente della Sip (Società italiana di pediatria) e la professoressa Silvia Vegetti Finzi, ordinario di Psicologia dinamica all’Università di Pavia. Bernasconi ha ammesso che occorre avviare la formazione dei pediatri anche in questo campo «deve essere il medico di prima linea capace di cogliere le situazioni di disagio. Noi pediatri grzie all’intervento di Telefono Azzurro stiamo cercando di colmare il gap culturale soprattutto nei confronti del cyberbullismo attraverso specifici moduli formativi rivolti ai

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pediatri di base» Sulla stessa lunghezza d’onda anche Corsello che ha sottolineato il ruolo che possono svolgere i pediatri e come il fenomeno del bullismo sia materia di studio e ricerca da parte della Sip «i dati che emergono di questo fenomeno in espansione ci obbligano a una presa in carico multidisciplinare», Corsello ha annunciato la realizzazione di linee guida e raccomandazioni che saranno diffuse tra i pediatri di base.

«La configurazione sociale di vittime e carnefici è molto simile, l’essere l’uno o l’altro dipende molto dal temperamento personale, spesso poi si è l’uno e l’altro» ha rivelato la professoressa Vegetti Finzi «Già alla scuola materna ci possono essere dei principi del fenomeno che portano le vittime anche a dei disturbi psicosomatici o al rifiuto della scuola». Per sgombrare il campo da equivoci c’è da sottolineare che alla materna «non c’è consapevolezza morale, spesso è esuberanza fisica, ma la vittima soffre molto e gli insegnanti devono essere in grado di monitorare il fenomeno».
Per Vegetti Finzi, dal punto di vista dell’educatore è molto importante il ruolo dello spettatore «che sa di assistere a qualcosa di asociale. Non credo alla risposta dei ragazzi: il 54% dice di aiutare la vittima. Ma di fronte al 35% dei ragzzi che afferma di non sapere come aiutare deve entrare in gioco l’educazione per stimolare una riposta collettiva, far scattare una solidarietà collettiva».

Creare una rete, aiutare la vittima a ritrovare la fiducia in sè stessa, aiutare anche il bullo a modificare il suo comportamento, senza dimenticare di lavorare con la classe attraverso gli esperti. «In certi casi occorre intervenire in modo mirato anche con la famiglia. Ma tutto questo costa. Per questo occorre prevenire, magari anche con i pediatri» ha aggiunto Caffo. Con un “nota bene” sottolineato da Vegetti Finzi «occorre distinguere: il bullo è qualcuno che fa qualcosa di violento, non è un violento. Occorre lavorare sulle sue positività».

Per intervenire, però, ricorda infine Caffo, oggi «non si può prescindere dalla rete». Ed è per questo che Telefono Azzurro sta potenziando il suo intervento online come dimostrano il sito rinnovato e il progetto “Giovani protagonisti” sempre online dal sito azzurro.it, l’app di Fb.
Al bullismo sarà dedicato l’evento di piazza del prossimo 20 e 21 aprile dal titolo “Ci vuole un fiore”. In 2.300 piazze italiane saranno presenti circa 5mila volontari per raccogliere fondi a sostegno dei progetti dell’associazione con il fiore della Calancola.

Fonte: vita.it

  • Articolo pubblicato il 17 Aprile 2013

Si chiama XXY, ed è la prima app interamente dedicata all’educazione sessuale. L’applicazione, realizzata dall’associazione Modavi onlus grazie al contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stata studiata da programmatori informatici coadiuvati da un’equipe di ginecologi, medici, andrologi, psicologi e psicoterapeuti.

 “L’avanzare delle nuove tecnologie, amate soprattutto dai giovanissimi – spiega Irma Casula, presidente Modavi – impone l’esigenza di coniugare anche la prevenzione, e quindi l’informazione, con nuovi strumenti di comunicazione. XXY è l’educazione sessuale che si fa a portata di smartphone: tecnologico, ovviamente conciso, ma anche estremamente accurato nella forma e nei contenuti”.

Il software, installabile gratuitamente su tutti gli smartphone, contiene un dizionario e delle “faq”, domande e risposte sulla sessualità, sull’adolescenza e sulle malattie sessualmente trasmissibili. Sarà utile a fornire agli adolescenti strumenti adeguati per una maggiore coscienza del proprio corpo e dei rischi in cui possono incorrere attraverso esperienze non protette.

Il brevetto dell’applicazione rientra all’interno del progetto “Vivere il sesso consapevolmente”, con il quale il Modavi ha realizzato, nelle aule degli istituti scolastici aderenti, specifici incontri seminariali sull’educazione all’affettività e alla sessualità implementati dall’utilizzo delle nuove tecnologie.

“Vivere il sesso consapevolmente” è un progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi della L. f) della Legge 383/2000 annualità 2011.

Fonte: modavi.it

  • Articolo pubblicato il 11 Aprile 2013

La graduatoria stilata dall’Unicef piazza l’Italia al ventiduesimo posto su ventinove per le politiche su istruzione, ambiente, salute e sicurezza. In vetta l’Olanda, fanalino di coda Stati Uniti

Secondo un rapporto dell’Unicef sul benessere dei bambini, tra i 29 Stati avanzati presi in considerazione, l’Italia si trova nella parte bassa di questa particolare classifica, solamente ventiduesima davanti ad Estonia, Slovacchia e Grecia. In vetta spiccano i Paesi Bassi, seguiti da Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia. A chiudere gli Stati Uniti. Cinque i criteri di giudizio utilizzati per stilare la tabella: benessere materiale, salute e sicurezza, istruzione, comportamenti a rischio, condizioni abitative ed ambientali.

E in quasi tutti questi parametri, il Belpaese non ne esce propriamente alla grande. Siamo difatti al ventiquattresimo posto per i risultati scolastici, ventitreesimi per il benessere materiale, ventunesimi per condizioni abitative e diciassettesimi per salute e sicurezza, in linea con gli altri paesi dell’area mediterranea nella terza fascia della graduatoria sulla povertà infantile, con il 17% dei bambini sotto la soglia di povertà, tra i peggiori risultati anche per il divario economico tra le nazioni industrializzate. Insieme alla Spagna abbiamo la più alta quota di giovani, l’11%, non iscritti a scuola, né con un lavoro o in corsi di formazione, i cosiddetti “neet” – not in education, employment or training. A parziale consolazione, il primo posto condiviso con la Norvegia per il tasso di iscrizioni prescolari e un calo del 60% del fenomeno del bullismo rispetto al 2000, con l’11% di vittime, il livello più basso registrato.

“Esistono Stati come i Paesi Bassi o quelli scandinavi che sistematicamente fanno meglio di altri nel proteggere i loro cittadini più vulnerabili”, commenta Luisa Natali, ricercatrice dell’Unicef. “Le tendenze di questa classifica dimostrano che importante per i livelli di benessere infantile non è solo il pro capite del paese, ma le politiche adottate”. Motivo per cui all’ultimo posto ci sono gli Stati Uniti, “per quasi tutte le dimensioni analizzate”.

Fonte: net1news.org

  • Articolo pubblicato il 11 Aprile 2013

Il 40 per cento delle famiglie non ha a disposizione 800 euro per una spesa imprevista e l’11 non può assicurare pasti proteici adeguati nell’arco settimana. Sabbadini: ”Nel 2011 grosso aumento di questa deprivazione”

ROMA –  “Le statistiche hanno aperto una nuova fase in cui i minori non sono più invisibili. Sappiamo che il grosso dei problemi è al sud per i bambini,  ma anche al nord soprattutto nelle famiglie immigrate”. Lo ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento statistiche sociali dell’Istat, intervenendo a Roma alla presentazione del Rapporto sul benessere dei bambini. “Le situazioni più problematiche si riscontrano  nelle famiglie dove le donne non lavorano, soprattutto marocchine e albanesi. Mentre in alcuni casi va meglio, come per  filippini e romeni. Qui il segno della povertà è più bassa, perché i bambini arrivano in una seconda fase, dopo il consolidamento del lavoro i familiari fanno il ricongiungimento”.

Sabbadini ha poi ricordato che il nostro è un paese dove ci sono molti bambini in una situazione di povertà assoluta, non solo relativa. Questi bambini poveri sono 723 mila, la metà dei quali vive al sud. “Il 2011 è stato l’anno in cui si è verificato un grosso aumento di questa grave deprivazione, che tocca le famiglie con minori:  quasi la metà di queste famiglie non ha svolto una vacanza, il 40 per cento non ha a disposizione 800 euro per una spesa imprevista e l’11 per cento ha problemi per permettere ai figli di fare pasti proteici adeguati nell’arco settimana – continua Sabbadini. Il secondo aspetto è quello della scuola: siamo stati portati a modello per numerosi anni nel mondo, ma non siamo ancora riusciti a sciogliere il nodo dei tre anni successivi alla scuola primaria. Già al primo anno delle superiori il 20 per cento dei ragazzi viene bocciato. Anche qui il  problema riguarda il sud, le famiglie immigrate del nord e le classi sociali più basse”.

Rispetto a questo ultimo aspetto la dirigente dell’Istat ha sottolineato che la “scuola non riesce a svolgere un ruolo di riequilibrio sociale: l’estrazione sociale dei bambini pesa troppo sui percorsi di studio degli studenti condizionandone i destini e gli siti. Questo  incide a catena nel futuro dei ragazzi anche per la transizione al mondo del lavoro. Anche in coloro che frequentano l’università questo incide – conclude – le distanze sociali non sono diminuite”. (ec)
© Copyright Redattore Sociale

Fonte: dirittiglobali.it

  • Articolo pubblicato il 10 Aprile 2013

Diventa operativo il progetto nazionale “Ricomincio dal bio” che coinvolge sei strutture in Italia. L’obiettivo: “Migliorare la qualità della vita durante l’esecuzione della pena”.

Con l’arrivo della primavera, negli spazi di sei istituti penali italiani, diventano operativi gli orti sociali del progetto “Ricominciando dal bio”: un’opportunità per minori sottoposti a misure penali. Le sedi di svolgimento sono gli istituti penali minorili di Palermo, Airola (Bv), Roma (maschile e femminile), Pontremoli (Ms) e presso l’Usmm de L’Aquila.
All’interno degli spazi dell’istituto penale di Palermo l’orto sarà allestito su due aiuole di 80 metri quadrati ciascuna per un totale di 34 parcelle. Tra gli ortaggi comuni saranno coltivati lattuga, rucola, zucchine, specie rare di peperoncini piccanti e poi ancora alloro, origano, timo, lavanda, salvia e rosmarino. Il progetto nazionale, iniziato lo scorso settembre, ha la durata di un anno ed è realizzato dall’Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) in collaborazione con gli operatori dei Centri di giustizia minorile (Cgm), degli Istituti penali per i minorenni (Ipm) e dei Servizi Sociali. “Ricomincio dal Bio si pone l’obiettivo di trasmettere ai minori del circuito penale l’amore per la vita, la natura e il lavoro, attraverso la cura dell’orto e l’auto-produzione di alimenti. L’intento è di migliorare la qualità della vita durante l’esecuzione della pena. Attraverso il progetto, si impianteranno nuovi orti biologici e si integreranno quelli già esistenti negli istituti penitenziari per minorenni. Ciò permetterà di ampliare in modo duraturo le attività interne alle strutture detentive e le occasioni di lavoro per i minori. Il progetto avrà una continuità nel tempo: agli istituti resteranno gli orti, ai giovani la soddisfazione di raccogliere e consumare i frutti del proprio lavoro e la passione per la terra. I giovani verranno stimolati a consapevolizzare e riflettere sulla propria attività attraverso la redazione di un apposito diario in cui scrivere e disegnare il proprio punto di vista e le considerazioni sull’esperienza in corso. I sei orti saranno suddivisi in parcelle di 4 metri quadrati, collegate da sentieri di passaggio, in cui verranno realizzate coltivazioni biologiche di ortaggi ed erbe aromatiche mediterranee a ciclo primaverile-estivo e di alcune essenze officinali vivaci. “Credo molto in questo progetto – dice Angelo Meli direttore del Centro di Giustizia Minorile per la Sicilia e per la Calabria e la Basilicata. Ricordo tanti anni fa a Firenze un ergastolano che coltivava con interesse degli ortaggi negli interstizi degli edifici del carcere. A volte la natura è capace di trasmetterci il senso del vivere anche in un contesto difficile e amaro come quello detentivo. Riteniamo quindi che questi progetti siano tasselli importanti, inseriti in un quadro più ampio che è quello del recupero sociale, familiare e lavorativo dei ragazzi che ci vengono affidati. Per ognuno di loro individuiamo un programma personalizzato che prevede un percorso attraverso il quale riscattarsi dal passato per inserirsi coerentemente nella società. Dal un lato i giovani acquisiscono una preparazione del settore agro-biologico dall’altro acquisiscono la consapevolezza del valore del rispetto della natura. Il numero di minori coinvolti è variabile, lo decideremo in corso di svolgimento perché dipenderà anche dalla loro idoneità: è importante che questi minori siano già portatori di un percorso di maturazione idoneo per potere essere impegnati nel progetto”. “Abbiamo sperimentato l’efficacia dell’attività agricola ai fini della riabilitazione – sottolinea Anna Ciaperoni, responsabile del progetto – Aiab – degli adulti in stato di detenzione e adesso anche dei minori. Tra le testimonianze mi piace ricordare che un ergastolano un giorno ci raccontò che la sua passione nei confronti delle piante era tale che sarebbe riuscito a coltivare pure in mezzo ai gusci di noci. Mentre un educatore di Bologna ci ha raccontato come un piazzale cementificato di un istituto penale, trasformato in area verde, faceva identificare nei detenuti che vi hanno partecipato il loro processo di nascita e di crescita. C’era proprio questo specchiarsi. In questo senso l’agricoltura è una marcia in più rispetto ad altre attività. Ai minori, attratti spesso dai guadagni facili, l’agricoltura intesa come nel passato risulta poco appetibile mentre l’agricoltura biologica con le sue valenze sociali inizia ad attrarli”. “Il lavoro nei campi e con i viventi vegetali, mette la persona in contatto diretto con i cicli della vita – aggiunge Aldo Milea, coordinatore del progetto Aiab, consentendogli di sviluppare un più corretto rapporto col fluire del tempo e con il suo impiego ai fini del sostentamento. La capacità di procurarsi il cibo, in modo semplice e diretto, assecondando la natura attraverso il lavoro e il saper attendere, riveste una grande importanza per la crescita dell’autostima e per il maturare di un punto di vista corretto sul rapporto tra lavoro e sostentamento”.

Fonte: ristretti.org

  • Articolo pubblicato il 9 Aprile 2013

Una settimana di lavoro per 24 ragazzi con sindrome di Down e altre disabilità intellettive provenienti da diverse città europee: prima tappa di un progetto che vuole portare alla redazione di guide turistiche facilitate. Si inizia con Venezia, si proseguirà nel corso dell’anno con Praga, Budapest e l’isola di Malta

VENEZIA – Sono stati 24 i ragazzi con sindrome di Down e altre disabilità intellettive provenienti da diverse città europee che si sono incontrati per una settimana a Venezia per iniziare i lavori di stesura di una guida turistica ad alta comprensibilità. Il progetto “Turisti non per caso” ha visto il coinvolgimento di persone con disabilità intellettiva provenienti da Praga, Budapest, Malta e per l’Italia 6 ragazzi con sindrome di Down di Venezia dell’Aipd, Associazione Italiana Persone Down, capofila del progetto.

I 4 gruppi di 6 ragazzi ciascuno (dai 17 ai 35 anni) hanno visitato Venezia insieme ai propri operatori per vedere che cosa era loro necessario trovare in una Guida. Nella settimana ci sono stati anche momenti di formazione per decidere l’indice e la forma grafica della Guida e realizzare concretamente un testo ad alta comprensibilità. Le tappe successive del progetto, della durata di un anno, prevedono la redazione delle Guide, la loro validazione attraverso dei test con potenziali visitatori. Tra settembre e dicembre 2013 infatti a rotazione i membri del progetto visiteranno gli altri stati per usare le guide scritte dagli altri e verificarne pregi e limiti. Un’ulteriore testing sarà fatto con altri potenziali utenti: persone con scarsa conoscenza della lingua del Paese in cui si trovano, persone con bassa scolarità o altre disabilità intellettive. Questa fase si concluderà con la correzione delle Guide turistiche.

Il materiale sarà infine pubblicato in tutte le lingue dei partecipanti su un sito creato appositamente per il progetto “Turisti non per caso”. Novità assoluta anche una nuovissima applicazione che permetterà di scaricare e visionare la guida direttamente dallo smart phone. Anna Contardi, coordinatrice nazionale Aipd, ha seguito personalmente i lavori della prima settimana e afferma: “E’ stato emozionante vedere come, superando le barriere linguistiche , i redattori siano diventati un’unica squadra e abbiano condiviso il da farsi con grande serietà.”

Fonte: superabile.it

  • Articolo pubblicato il 9 Aprile 2013

Sono oltre 7mila i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia. In oltre 4mila sono accolti nelle strutture a loro deputate. 1.500 risultano irreperibili. Questi alcuni dei dati contenuti nel Report nazionale sui minori stranieri non accompagnati pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione.
I dati contenuti nel Report rilevano nell’ultimo anno una diminuzione nella presenza di minori stranieri, con un totale di circa 7.066 minori censiti rispetto ai 7.650 del 2011. Sono in maggioranza maschi (95%) e più della metà è formata da ragazzi con un’età compresa tra i 16 e i 17 anni, solo una piccola parte (0,4%) è costituita da bambini da zero a sei anni.
I minori ‘irreperibili’ sono all’incirca 1.500 e prima di far perdere le proprie tracce la maggior parte di loro era ospitato in strutture. Anche i ‘presenti’ sono accolti per lo più in centri di accoglienza (4587), a seguire ci sono i ‘privati’ (706) e, infine, i ‘non comunicati’. Tra i minori censiti solo 287 hanno formalizzato la richiesta di protezione internazionale.
Le nazionalità più rappresentative sono: Bangladesh (23,2%), Egitto (11,9%), Albania (10,4%), Afghanistan (6,7%) e Marocco (4,8%).
Lazio (21, 5%), Sicilia (10,3%), Lombardia (10%), Emilia Romagna (8,4%) e Puglia (7,4%), sono le regioni i cui comuni fanno registrare nel 2012 il più alto numero di minori presi in carico.

Report nazionale sui minori stranieri non accompagnati

Fonte: programmaintegra.it