Cosa sono i CAG, i Centri di Aggregazione Giovanile? Come si sono sviluppati? 20 anni di spazi per i giovani nel report che Giovanni Campagnoli ha realizzato per il progetto di Oasi “Ricerca – intervento per lo sviluppo del sistema cittadino dei centri di aggregazione per adolescenti”
I centri di aggregazione giovanile sono uno dei più tipici esempi di progetti per i minori realizzati con la Legge 285 del 1997. Spazi per i ragazzi. E, soprattutto, spazi intermedi tra scuola, casa e strada, tra coetanei ed adulti, in cui adolescenti che non avevano nessun posto in cui passare i propri pomeriggi hanno trovato uno dei modi migliori per diventare grandi. Tra laboratori, doposcuola e progetti d’inclusione, i CAG sono un’argine contro la dispersione scolastica e la povertà educativa.
In modo particolare a Roma, dove hanno fatto rete con scuole e servizi pubblici di 3 territori municipali con il progetto #AltaFrequenza. Riuscendo anche ad affrontare il distanziamento sociale durante l’emergenza Covid-19, proponendo attività online.
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Ricerca-intervento sui centri di aggregazione giovanile
Su incarico di Roma Capitale, e con la collaborazione di Rete ITER e la Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA), abbiamo portato avanti una ricerca-intervento proprio sugli spazi di aggregazione e socializzazione presenti sul territorio cittadino. Un quadro conoscitivo approfondito e aggiornato che ha fatto seguito a 20 anni di iniziative finanziate dal Fondo per i minori. Uno sguardo d’insieme che faccia tesoro di oltre dieci anni di supporto offerto da Oasi al Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale con l’Assistenza Interventi 285/97.
Il tema è stato trattato in maniera capillare, partendo dalla definizione stessa di “Centro di aggregazione” e ripercorrendo 20 anni di storia del fenomeno, da Giovanni Campagnoli in occasione di “Spazio ai giovani”, l’evento che ha fatto incontrare ed esibire a Roma i ragazzi di 22 centri per adolescenti. Riproponiamo, di seguito, il testo di quel prezioso contributo.
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“Centri e spazi di aggregazione e animazione per i giovani”
di Giovanni Campagnoli (Rete Politiche Giovanili)
Negli ultimi 20 anni, nel nostro Paese lo sviluppo degli spazi di aggregazione è avvenuto in connessione a quello delle politiche giovanili. Dall’entrata in vigore della legge 285/97 (e del relativo Fondo per l’infanzia e l’adolescenza) si è poi passati all’istituzione del Ministero della Gioventù (2007) e del Fondo per le politiche giovanili, con lo sviluppo di accordi quadro regionali che prevedevano sempre un impulso all’avvio e/o al sostegno di questi spazi.
L’attenzione delle istituzioni verso gli spazi per i giovani
Nell’ambito delle politiche giovanili, quello degli spazi è stato (e lo è tutt’ora) un tema “classico”. Si pensi alla tradizione più che centenaria degli oratori e a quella almeno trentennale dei centri di aggregazione. Finanziati dallo Stato negli anni ’80, con i fondi delle leggi di contrasto a criminalità giovanile e prevenzione di droghe, gli spazi giovanili negli anni ‘90, vedono un nuovo sviluppo grazie all’applicazione della legge 285/97, soprattutto durante gli anni in cui è rimasta in funzione attraverso lo sviluppo di programmi regionali. Non solo: tra il 2008 ed il 2010, il tema viene ripreso da ben 20 dei 21 Accordi di Programma Quadro (APQ) siglati tra il Dipartimento delle Politiche giovanili e le Regioni, oltre ad essere oggetto di un disegno di legge ministeriale, quello sulle comunità giovanili (o “villaggi dei giovani”), presentato in Parlamento il 7 luglio 2010.
Questa attenzione istituzionale è coerente con le richieste dei giovani (recenti indagini nazionali indicano come quella degli spazi sia in testa tra quelle formulate agli amministratori) e con i loro nuovi bisogni (accesso al lavoro e all’impresa, occasioni di sperimentazione espressiva/creativa, alfabetizzazione alle nuove tecnologie, psicoterapia per adolescenti, ricerca di nuovi luoghi di partecipazione): si tratta di comprendere meglio in che modo questa attenzione riesce a concretizzarsi nei vari territori.
I centri di aggregazione in Italia
Infatti, nonostante tutto questo “fermento”, ad oggi in Italia non esiste ancora una ricerca nazionale in materia di Centri di Aggregazione, né un registro nazionale, né una loro stima quantitativa. Provando ad elaborare un piccolo studio, si parte dalla forte stagione di crescita dei centri di aggregazione giovanile (CAG), monitorata da più osservatori, negli anni ’80 e ’90. Infatti, relativamente ai CAG, secondo la rilevazione del “Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza”, nel 2000 vi erano già 530 progetti di questo tipo finanziati dalla Legge 285/97, a cui si sarebbero dovuti aggiungere quelli già esistenti, arrivando così a circa 900.
A partire dal 2000 e fino al 2004, grazie soprattutto a finanziamenti pubblici (oltre alla L. 285/97, le leggi sulla prevenzione delle tossicodipendenze, le diverse leggi regionali in materia, quella sugli oratori e così via), si è sviluppata una pluralità di progetti legati all’aggregazione giovanile intesa come primo livello del protagonismo sociale dei giovani e come forma di prevenzione primaria aspecifica. Sempre nel 2004, il finanziamento di servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero è il secondo ambito di intervento sostenuto dalla legge 285/97, con un valore assoluto di 1.765
progetti, pari al 35,4% del totale. Ciò non significa assolutamente che siano stati finanziati solo dei centri di aggregazione per adolescenti, anzi, è piuttosto un’indicazione della considerazione crescente di una tipologia di interventi non solo riparativi.
Per arrivare ad una stima dei centri giovanili, si deve dunque ricorrere a più fonti: i 21 APQ, una ricerca del 2006 della Provincia di Pistoia e del Gruppo Abele, i siti web delle regioni e altre fonti.
Con tutta la prudenza del caso, si evidenzia una crescita nei successivi due anni di ulteriori 300 centri di aggregazione, su uno stock consolidato di circa 1.100 presenti nel 2006 (Campagnoli, 2010). Stime che danno conto di una crescita fino al 2009, per poi calare negli anni più recenti. Dal 2009 le risorse e le attenzioni per le politiche giovanili sono infatti notevolmente diminuite, con una drastica riduzione del Fondo politiche giovanili, passato da 130 milioni di euro nel 2007 a 5,3 nel 2015.
Usando Google Trends come fonte di indagine dei termini maggiormente cercati, la serie storica dal 2007 ad oggi di quanto le parole chiave “politiche giovanili” sono presenti in questo motore di ricerca, è eloquente (v. Fig. 2). Da notare che questo andamento ha seguito quello del calo di risorse.
Le ultime due Intese tra Dipartimento e Regioni (2013 e 2014) hanno previsto – in relazione ai tagli che via via venivano apportati al Fondo Nazionale delle Politiche Giovanili – una sola finalità su cui concentrare le risorse, cioè la realizzazione di forme/Centri di aggregazione giovanile atti a migliorare le condizioni di “incontro” dei giovani (Bazzanella / Campagnoli, 2014).
Anche l’Intesa tra Dipartimento e Comuni (Anci 2014) ha attivato alcuni bandi su due azioni, entrambe miranti alla creazione di nuovi spazi per i giovani, una rivolta alle 120 città con popolazione tra i 50.000 e i 150.000 abitanti (800.000 euro, ComuneMente giovani), per l’innovazione sociale e una seconda destinata ai 64 Comuni dell’Osservatorio “Smart city” (1 milione di euro, “MeetYoungCities: Social innovation e partecipazione per i giovani dei Comuni italiani”). Identici gli obiettivi delle due azioni, cioè il sostegno a progetti per interventi che coinvolgano i giovani nel codesign di spazi e servizi nel settore sociale e culturale e per il co-working.
Cosa sono i centri di aggregazione? Una definizione
Il Centro di aggregazione consiste in un insieme di opportunità di aggregazione all’interno di un contesto organizzato, che propone vincoli (regole, orari…), ma anche risorse (psicologiche, pedagogiche e strutturali) che possono essere liberamente utilizzate dagli adolescenti: spazi di animazione e di scoperta, anche per relazioni significative tra coetanei e tra adolescenti ed adulti. Il Centro di aggregazione può costituire una risorsa complementare alla scuola, laddove riesca ad organizzare iniziative comuni da svolgere oltre l’orario scolastico, in applicazione della direttiva n. 133/96 sullo sviluppo delle iniziative complementari ed integrative.
Il Centro di aggregazione può assumere alcune sfide che il mondo adolescenziale esprime in ordine ai bisogni di acquisire le parole per discutere e per tessere nuove mappe concettuali adeguate a disegnare nuovamente il presente; sviluppare criticità creativa oltre il conformismo, per superare il senso di disagio e confusione che molti vivono; partecipare per arrivare a nuove contrattualità nei diversi ambiti della vita sociale e sperimentare nuove forme di cittadinanza; esercitarsi nel progettare, realizzare, verificare attività legate ad interessi di gruppo e rilevanti per la vita collettiva.
Il Centro di aggregazione sviluppa due funzioni di notevole importanza: quella animativa e quella educativa. Da un lato agisce come centro di tipo promozionale, attivo, orientato all’aggregazione tra coetanei ed alla socializzazione culturale, al protagonismo sociale degli adolescenti, dall’altro contribuisce al loro processo formativo (inteso come costruzione di senso), di acculturazione, all’apprendimento di competenze e abilità sociali e più complessivamente alla costruzione di un diverso rapporto con le dimensioni dello spazio e del tempo, con il mondo adulto, con le istituzioni.
Il Centro può dedicare notevole attenzione alla dimensione culturale, orientandosi ad ampliare l’alfabetizzazione di base, di saperi e competenze, spesso sottoutilizzati, inerenti i versanti:
- storico e geografico: si tratta di avvicinare gli adolescenti alla logica del progetto, del rapporto tra passato, presente e futuro,
- scientifico: si tratta di proporre l’idea della sperimentazione, in cui sviluppare un rapporto sempre più stretto tra il fare ed il pensare,
- artistico: si propone una pratica del corpo, del suono, dell’immagine mediante la costruzione di situazioni ludiche – motorie, attraverso l’ascolto e la produzione sonora, forme di gestualità.
La visione europea degli spazi giovanili
Il quadro dell’azione strategica della Unione Europea, a cui fanno riferimento tutti i programmi attuali dell’UE, è “Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Per quel che riguarda le giovani generazioni, vi è una centratura particolare sul temi dell’apprendimento delle competenze (anche in ambito informale) e del relativo riconoscimento.
Vale la pena ricordare alcuni “europilastri” che già dal Trattato di Maastricht segnano una attenzione alle giovani generazioni europee:
- l’azione dell’Unione europea è intesa a incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita democratica dell’Europa;
- ciascun giovane rappresenta una risorsa per la società ed ha messo in risalto l’importanza di affermare il diritto dei giovani di partecipare all’elaborazione delle politiche che hanno ripercussioni sulla loro vita mediante un dialogo strutturato costante con i giovani e le organizzazioni giovanili;
- ogni persona ha diritto alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione ed i minori possono esprimere liberamente la propria opinione e specifica che questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità;
- i giovani hanno un prezioso contributo da apportare allo sviluppo della società;
- il loro coinvolgimento nella ricerca di risposte ai problemi e alle sfide della società è essenziale al fine di consentire a tutti i giovani di trarre pieno vantaggio dalle loro capacità e trovare soluzioni funzionali, significative e sostenibili;
- è indispensabile accettare la voce dei giovani in tutti i processi politici e decisionali che hanno ripercussioni sulla loro vita;
- una maggiore partecipazione dei giovani può contribuire allo sviluppo sociale, politico culturale ed economico e, se un maggior numero di persone e di idee sono rappresentate in ambito pubblico, le decisioni avranno basi più solide.
Da ricordare la Strategia UE per la gioventù (2010-2018), che definiva questi obiettivi:
- creare per tutti i giovani, all’insegna della parità, maggiori opportunità nell’istruzione e nel mercato del lavoro;
- promuovere fra tutti i giovani la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e la solidarietà.
Oltre a ciò, individua priorità annuali che per il periodo compreso tra il 1° luglio 2014 e il 31 dicembre 2015 riguarda il conferimento di responsabilità ai giovani, connesso all’accesso ai diritti ed all’importanza della partecipazione politica dei giovani. Oltre a tutto ciò, definisce l’animazione socioeducativa (youth work) quale metodologia di lavoro con le giovani generazioni e punto di forza dello sviluppo delle politiche giovanili in Europa, sostenendo e riconoscendone in particolare l’apporto economico, sociale e professionalizzante.
Ritornando invece al concetto di sviluppo di competenze e talenti, è interessante verificare come trovino traduzione operativa anche nel concetto di “spazi giovanili”, definiti dalle U.E. come “centri di animazione socio-educativa”, cioè:
- ambienti in cui i giovani possono sviluppare la loro creatività e i loro interessi trascorrendovi proficuamente il tempo libero;
- luoghi che contribuiscono a creare per tutti i giovani, all’insegna della parità, maggiori opportunità nell’istruzione e nel mercato del lavoro;
- strumenti di inclusione, cittadinanza attiva e solidarietà;
- strutture guidate da animatori socioeducativi, in cui tutti i giovani, inclusi quelli non appartenenti ad alcuna organizzazione ed i giovani con minori opportunità, possano incontrarsi, creare e essere coinvolti in progetti;
- canali per sviluppare le capacità e le competenze dei giovani, specialmente di quelli con minori opportunità.
La “filosofia” di fondo di questi spazi è quella di svolgere la funzione di luoghi di produzione culturale/creativa giovanile unita a quelle di sviluppo di “competenze chiave”, spendibili anche sul mercato del lavoro. In questi contesti informali e non formali (e non solo nella Scuola…) avviene l’apprendimento del 70% di queste “8 Key competences”, che sono quelle relative alla comunicazione nella lingua madre ed in almeno una lingua straniera, digitali e matematiche, creative, di cittadinanza, imprenditoriali e relative all’imparare ad imparare.
Da qui il senso delle politiche giovanili: promuovere attività di “educazione non formale” basate sulla partecipazione volontaria dei giovani, finalizzata all’apprendimento di competenze. In questo modo lo youth work può contribuire – ed in modo molto efficace – allo sviluppo dell’autonomia, della responsabilizzazione e dello spirito imprenditoriale, della creatività, della consapevolezza culturale e sociale, e dell’innovazione dei giovani, della partecipazione sociale, dell’impegno volontario, della cittadinanza attiva, dell’inclusione.
L’animazione socioeducativa (youth work)
L’animazione socio-educativa appartiene al settore dell’educazione extrascolastica, comprende specifiche attività ricreative organizzate da professionisti o da animatori socioeducativi, e si basa su processi di apprendimento non formale e sulla partecipazione volontaria L’animazione giovanile:
- può contribuire allo sviluppo dell’autonomia, della responsabilizzazione e dello spirito imprenditoriale […], della creatività, della consapevolezza culturale e sociale, e dell’innovazione dei giovani, della partecipazione sociale, dell’impegno volontario, della cittadinanza attiva, dell’inclusione;
- realizzata sia da volontari sia da professionisti, ha un notevole impatto socioeconomico in quanto può produrre attività economica, fornisce infrastrutture, crea vantaggi economici ed aumenta l’occupazione (giovanile). Il mercato del lavoro può beneficiare delle capacità e competenze personali e professionali acquisite attraverso l’animazione socioeducativa, sia dai partecipanti sia dagli operatori e animatori socioeducativi. Tali capacità e competenze dovrebbero essere sufficientemente valutate e riconosciute in maniera efficace.
Spazi giovanili: verso nuove definizioni
L’ambito delle politiche giovanili vede in questi ultimi anni lo sviluppo di spazi dedicati ai giovani con alcune caratteristiche particolari (più o meno accentuate a seconda della “formula”) che comunque rendono questi luoghi riconoscibili e interessanti per i giovani stessi.
Oltre che stimolanti, “social” (cioè in rete e intergenerazionali), in grado di offrire opportunità, percorsi, con al loro interno disponibilità di attrezzature e strumentazioni (es. wi-fi, sale prove, palco, cinema), stimolare interessi e curiosità, favorire incontri. Ma soprattutto luoghi progettati a partire dai bisogni dei giovani e si coniugano con i loro desideri e passioni, per sviluppare idee e permettere l’apprendimento di competenze nell’ambito dell’educazione non formale. Tutto ciò, non casualmente, ma intenzionalmente, pur in un ambiente non formale, comunque educativo, alla presenza di un operatore, che è lì e lavora per e con i ragazzi e le ragazze. Modelli di spazi senz’altro più europei, dove tutto questo viene definito dall’Unione Europea “youth work”.
In termini descrittivi, uno spazio giovanile è un luogo (in contrapposizione ai “non luoghi”, dove l’aspetto relazionale non è certo privilegiato…) che nasce per rispondere ai bisogni dei giovani, in particolare legati alla possibilità di incontrare i coetanei, socializzare e svolgere attività che soddisfino le aspettative creative di ognuno, il confronto (anche con il mondo adulto), la possibilità di partecipare attivamente alla vita del centro e della comunità locale, l’apprendimento, l’orientamento, oltre a poter contare su strumenti e proposte che favoriscono l’espressione di sé, l’acquisizione di competenze, l’assunzione di responsabilità nell’ambito della propria comunità.
Questi spazi giovanili hanno una struttura generalmente flessibile e adattabile per favorire l’accesso ad attività formative e culturali quali musica, teatro, cinema, danza, pittura, disegno e attività manuali ed espressive, nuovi sport, multimedialità, comunicazione, informazione e media, ma sempre più sono presenti anche spazi dedicati allo studio e al libero accesso al wi-fi, oltre che spazi di lavoro (co-working) e di sperimentazione e ricerca (fab lab).
A garantire tutto ciò, nel centro operano uno o più animatore/animatrici per favorire lo sviluppo di questi percorsi con i ragazzi, che siano attenti al compito (il prodotto, es. una rassegna di band), alle relazioni che si sviluppano, ai percorsi personali (orientativi) di ciascuno ed all’apprendimento di
competenze.
Le attività ricreative, culturali e formative che i ragazzi propongono, possono essere rivolte a tutta la comunità: compito dell’animazione è infatti avvicinare e costruire ponti tra mondi che rischiano di essere separati. Detto in sintesi, si passa da progettare spazi pensati come un’offerta per i giovani, a luoghi “contenitori” di offerte che invece i giovani rivolgono alla comunità locale.
Riprendendo le normative europee, si potrebbero definire questi luoghi degli spazi di animazione socio-educativa e, coerentemente, aventi queste caratteristiche:
- luoghi che propongono attività a tutti i giovani (non connotandosi per rivolgersi ad un target particolare, né di età, né di un solo interesse caratterizzante);
- spazi che operano su un orizzonte di normalità e quotidianità, intrecciando ordinario e straordinario (l’evento con l’incontro quotidiano, la performance con il corso e le prove, il convegno con lo studio quotidiano, ecc.);
- la finalità è di tipo aggregativa/partecipativa legata allo sviluppo del protagonismo e della cittadinanza attiva;
- lo sguardo al mondo giovanile è quello di una leva sulle potenzialità e risorse degli adolescenti, che devono accettare di mettersi in gioco e valorizzare i propri talenti;
- la gestione del progetto è prevalentemente affidata al Privato sociale (organizzazione giovanile o che opera per i giovani), sostenuta dal Pubblico (che spesso ha la proprietà della struttura e ne ha la titolarità), in un’ottica di sussidiarietà orizzontale;
- la co-progettazione avviene tra più stakeholders e, almeno la programmazione, coinvolge sempre anche i fruitori più giovani in modo attivo;
- la comunità è in relazione continua con il Centro, attraverso uno scambio di opportunità, proposte, disponibilità/risorse, “questioni”.
Ogni Centro di aggregazione riprende poi queste finalità, esplicitando obiettivi più specifici e linee d’azione, in modo da svolgere – nei termini più efficaci ed efficienti – le attività caratteristiche che producono utilità sociale a favore dei giovani ed in generale della comunità locale.
Da spazi giovanili a imprese di animazione sociale e culturale
In alcuni contesti, si assiste ad una serie di innovazioni sociali particolari nella gestione di questi spazi e dei centri di aggregazione. Complice anche la riduzione delle risorse pubbliche e l’incremento di “domanda sociale”, si comincia ad organizzare in modo nuovo la risposta a questi bisogni. E proprio questo diventa il progetto di impresa sociale/culturale formulato per la gestione dei Centri, capace di individuare processi di generazione di valore economico, necessari alla sostenibilità del progetto.
Diventa centrale quindi il tema della sostenibilità del progetto e a questo fine vanno individuati i “drivers” di sviluppo di questi spazi, che possono essere un mix (a seconda dei diversi contesti) di queste dimensioni: aggregazione; musica; cultura e creatività; nuove competenze per nuovi lavori (anche tecnologia); impresa giovanile; sport; bar/piccola ristorazione; ospitalità (foresteria/residenza artistica); altri servizi connessi.
In questi luoghi, le attività sono costruite in modo da suscitare l’interesse di chi partecipa e tali da favorire l’interlocuzione tra i soggetti del territorio, sia in contesti formali che non formali. C’è un investimento sulle capacità creative dei giovani, che non si esprimono solo nell’ambito della produzione artistica, ma anche in forma di imprenditività e di invenzione e/o interpretazione di nuove forme di interazione sociale. La Tabella 2 raccoglie una serie di ipotesi rispetto alle attività sviluppabili nei Centri di aggregazione, legati alle dimensioni elencate prima, con il livello di redditività standard.
L’ipotesi di fondo è che in questi luoghi sia l’aggregazione giovanile il “driver” principale di creazione di valore economico. Affinché si arrivi a ciò è necessario individuare gli attrattori più potenti che, per ciascuna dimensione, possano essere funzionali sia a produrre utilità sociale, che a generare nuove risorse economiche. Questi sono spazi ad “alta densità di giovani” tanto da giustificare la presenza di un bar, in quanto strumento di generazione di risorse. In questi spazi, il numero medio di presenze è notevolmente superiore a quelle che generalmente si registra nei centri di aggregazione tradizionali, con standard quindi di efficienza maggiore.
Un’ultima considerazione sui prodotti del Centro Giovani: eventi, servizi, ecc. che avvengono in questi luoghi, si prestano tantissimo ad essere mostrati all’esterno, in un’ottica di scambio rispetto a ciò che i giovani elaborano all’interno. Perché voler mostrare significa insistere sulla trasparenza e sulla capacità di comunicare efficacemente. Tutto ciò ha a che fare con la convinzione che le azioni realizzate presso il Centro hanno un valore sociale che supera i limiti del Centro stesso e che l’unico modo perché ciò possa accadere sia quello di rendere visibile ciò che si sta facendo, comunicarne senso e significati, anche raccogliere le critiche senza sottrarsi al confronto (Campagnoli, 2014).
Per concludere, presento qualche indicazione di esperienze (Tab. 3), che – pur con formule diverse – hanno intrapreso la strada della sperimentazione, da Sud al Nord dell’Italia, con in comune la sostenibilità economica senza una dipendenza vitale dall’Ente (e fondi…) pubblici.