Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale i decreti che hanno definitivamente dato il via alla Riforma del Terzo Settore. Ecco nel dettaglio cosa cambia con la nuova impresa sociale.
Poche settimane fa è diventata realtà la Riforma del Terzo Settore, con il varo degli ultimi decreti attuativi. Approfittiamo della loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per scendere nel dettaglio di uno degli aspetti che cambia il mondo del sociale, ma anche quello del lavoro e dell’impresa ad esso legato. Come cambia l’impresa sociale?
Impresa sociale: la definizione
L’articolo 1 del decreto legge 112 del 3 luglio 2017 dà un definizione all’interno della quale bisogna rientrare per potersi definire “impresa sociale”: «tutti gli enti privati che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività». In questo tipo di impresa è contemplata la possibilità di svolgere il volontariato. I volontari devono essere annotati in un apposito registro e non devono essere di un numero superiore rispetto a quello dei lavoratori.
Utili d’impresa
Come riporta Vita non profit, gli utili vengono di norma destinati «allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio»; è vietata la distribuzione, anche indiretta, di utili e avanzi di gestione a fondatori, soci o associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali. Niente premi, dunque, né compensi «individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze», limiti comunque agli stipendi, che non possono superare del 40% quelli previsti dai contratti collettivi. Limiti vengono stabiliti anche per evitare conflitti di interesse (non si potranno vendere beni o prestare servizi a prezzi di favore per i componenti dell’impresa, né per i finanziatori e neppure per i loro parenti). L’impresa sociale può invece destinare parte degli utili (meno del 50%) per aumentare gratuitamente il capitale sociale o – ed è questo un elemento fondamentale – distribuire dividendi ai soci, «in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato». Può inoltre deliberare erogazioni gratuite in favore di enti del Terzo settore diversi dalle imprese sociali, che non siano fondatori, associati, soci dell’impresa sociale o società controllate.
Le imprese sociali possono destinare una quota non superiore al 3% degli utili fondi istituiti dalle associazioni di imprese sociali o alla Fondazione Italia Sociale, il cui scopo è appunto la promozione e la crescita delle imprese sociali anche attraverso il finanziamento di specifici programmi di sviluppo. Si tratta di versamenti – è bene ricordarlo – «deducibili ai fini dell’imposta sui redditi dell’impresa sociale erogante».
Agevolazioni fiscali
L’articolo 18 del DL afferma che utili e avanzi di gestione non costituiscono reddito imponibile nei seguenti casi:
1) se vengono desinati a una riserva destinata «allo svolgimento dell’attivita’ statutaria o ad incremento del patrimonio» o ai contributi per l’attività ispettiva;
2) se servono ad aumentare il capitale sociale.
Buone notizie anche per chi finanzia un’impresa sociale: chiunque – persona fisica o società – si vedrà infatti riconosciuta una detrazione fiscale del 30% sull’investimento nel capitale di un’impresa o coop che diventi impresa sociale nei termini stabiliti dal decreto, a patto che sia stata costituita da meno di tre anni. La detrazione è valida per tre anni e non può superare 1 milione nel caso delle persone fisiche e 1,8 milioni nel caso delle società. Tali benefici, tuttavia, saranno validi a partire dopo il ricevimento dell’autorizzazione della Commissione europea, ovvero non prima del 2019.
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