I Belong: la campagna dell’Unhcr per la cancellazione dell’apolidia

I Belong: la campagna dell’Unhcr per la cancellazione dell’apolidiaNel 1961 l’Onu ha ratificato la Convenzione sulla riduzione dell’apolidia. Oggi, a più di cinquant’anni dal riconoscimento della condizione di apolide e dall’emanazione del documento che prevedeva un percorso internazionale per la protezione ed il riconoscimento giuridico di questa fragilissima categoria di persone, la situazione rimane controversa e di grande entità.
“Apolide – ha denunciato Helena Behr dell’Unhcr durante un incontro promosso dalla Commissione Diritti Umani di Palazzo Madama – è una persona che non esiste giuridicamente, è invisibile. Non ha accesso a diritti come cure mediche e istruzione, non può sposarsi, avere un conto in banca o la patente. Nel mondo ci sono almeno 10 milioni di apolidi, di cui 3-5 milioni di bambini. In Europa ce ne sono 600 mila”. Le categorie più colpite sono le minoranze etniche, e più di un terzo sono bambini. In Italia sono stati riconosciuti solo 900 apolidi, quando in realtà la cifra si attesta intorno alle 15mila persone (una stima della Comunità di Sant’Egidio), che nel nostro Paese sono principalmente Rom arrivati dall’ex Jugoslavia prima che si disgregasse o i loro discendenti. Gli altri provengono dall’ex Urss, dalla Palestina, dal Tibet, dall’Etiopia e dall’Eritrea.
Annualmente, ha spiegato il Prefetto Angelo Di Caprio, “sono circa 230mila i procedimenti amministrativi per la richiesta di cittadinanza italiana, 30-40 le domande per lo status di apolide, mentre i procedimenti pendenti 358”. Cir e Unhcr hanno ricordato che in Italia esistono due procedure per il riconoscimento dell’apolidia: amministrativa, ma “accessibile solo a chi è già in possesso di un regolare titolo di soggiorno”, o giudiziaria, difficilmente accessibile.
Al fine di agevolare il riconoscimento dell’apolidia, e la sua graduale cancellazione, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati istituisce la campagna “I belong”, che ha l’obiettivo di porre fine all’apolidia nei prossimi dieci anni. “È un problema – spiega l’Unhcr – creato unicamente dall’uomo, facilmente risolvibile se ci fosse la volontà dei Governi”.  I dieci milioni di apolidi presenti al mondo vivono infatti una condizione di discriminazione senza pari: viene loro negata la cittadinanza, e di conseguenza essi non hanno diritto ad un certificato di nascita, e nemmeno quello di morte. Senza parlare della loro totale esclusione dai diritti fondamentali, garantiti proprio da quelle istituzioni che negano l’esistenza degli apolidi: dal diritto all’istruzione a quello sanitario, queste persone vengono relegate ai margini della società. L’Italia ha sì aderito alla Convenzione del 1954, che definiva lo status di apolide, ma non a quella del 1961 sulla riduzione e la prevenzione dell’apolidia, con un’attenzione specifica ai minori. Fra l’altro il riconoscimento dello status è vincolato da difficoltà burocratiche e procedurali tali che pochissimi riescono ad ottenerlo. Questo spiega anche la discrepanza fra i 900 apolidi riconosciuti e i 15mila de facto presenti in Italia. Spiega Helena Behr dell’Unhcr: “L’Italia è uno dei soli 12 Stati al mondo che prevede lo status di apolide; le procedure sono addirittura due, ma entrambe problematiche: l’amministrativa è vincolata al permesso di soggiorno, mentre quella giudiziaria può durare diversi anni. Per entrambe vengono spesso richiesti certificati dei paesi d’origine difficile da reperire”. Al nostro Paese viene chiesto di ratificare la Convenzione del 1961, e quindi di procedere verso la semplificazione dell’iter burocratico che porta al riconoscimento dello status di rifugiato, per tutelare gli apolidi che, essendo privi di documenti, corrono rischi come l’espulsione e la detenzione ingiustificate, e allo stesso tempo non vedono riconosciuti una serie di diritti fondamentali.

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Fonte: dirittiglobali.org

  • Articolo pubblicato il 13 Novembre 2014