L’agricoltura sociale a Expo Milano 2015. Martino Rebonato tra gli interventi

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Contatto con la natura, fatica, pazienza, necessità di fare le cose insieme e darsi delle regole: l’agricoltura è già in se stessa una scuola di vita, ma in particolare lo può essere per chi nella sua vita si è perso. Per questo sono sempre più diffusi i progetti che utilizzano i lavori agricoli per il recupero di persone afflitte da dipendenze, dagli stupefacenti al gioco d’azzardo. Sabato 18 luglio Cascina Triulza – Padiglione della Società Civile di Expo Milano 2015 ha ospitato la presentazione di “Ricominciamo dalla terra”, progetto di agricoltura sociale elaborato da FICT – Federazione Italiana Comunità Terapeutiche, che mira a dare opportunità lavorative e inclusione sociale a soggetti svantaggiati e psichicamente fragili. Hanno partecipato Pierluigi Ricci (Centro di Solidarietà CSA di Arezzo), Mariafederica Massobrio (Coordinatrice del progetto), Saverio Senni (Dipartimento Dafne – Università della Tuscia), Martino Rebonato (Esperto di sistemi di Welfare e valutazione politiche sociali), Matteo Pisciotta (Chef Ristorante “Luce” – Villa Pansa – Varese). Un evento pieno di voglia di fare, accompagnato da brevi intermezzi del coro Voicefull Quintet.

Le nuove dipendenze

“Dagli anni Ottanta ad oggi abbiamo visto un radicale cambiamento nelle tossicodipendenze –  ha raccontato Pierluigi Ricci – se all’inizio la droga era un modo di ribellarsi ed autoescludersi dalla società, oggi paradossalmente è un modo per essere accettati, risultando più efficienti e dinamici. Ciò ha complicato enormemente il lavoro di reinserimento, aggravato ulteriormente dal venire meno di quel tessuto economico diffuso che poteva accogliere la persona che usciva dalla comunità – continua Ricci – per questo abbiamo dovuto cercare nuove strategie, che facciano da ponte tra la comunità di recupero e la società esterna”.

Valorizzare le proprie risorse

“Nella crisi in cui eravamo, ci siamo resi conto che alcune delle nostre comunità di recupero avevano potenzialità agricole, in particolare a Varese per i mirtilli, ad Arezzo per il miele e a Viterbo per gli ulivi – spiega Mariafederica Massorbio – con determinazione e forza di volontà abbiamo quindi elaborato il progetto, selezionato le persone motivate e trovato donatori e finanziatori a cui saremo sempre grati. L’ultimo traguardo raggiunto è il nostro marchio: “A mani nude”.

Un’agricoltura a colori

“Nel 1964, ancora bambino, ebbi la fortuna di visitare l’Expo di New York e vedere i primi televisori a colori – ha raccontato il Prof Saverio Senni – ecco, per me l’agricoltura sociale è come il passaggio da un un’agricoltura in bianco e nero a una a colori, perché realizza pienamente quell’idea di multifunzionalità dell’azienda agricola a cui miriamo. Il lavoro agricolo ha innate proprietà terapeutiche, perché ci aiuta a capire la vulnerabilità, la reciprocità e la responsabilità: mirtilli, api e ulivi richiedono di essere curati e loro curano noi”

Curare con il fare

“L’approccio classico alla terapia psicologica ha sempre dato molta importanza all’uso della parola – ha spiegato Martino Rebonato – mentre sono state sottovalutate le proprietà terapeutiche del lavoro manuale. L’agricoltura sociale non può certo risolvere ogni aspetto della cura e reinserimento, ma può essere una grande svolta, soprattutto per creare un welfare integrato”.
  • Articolo pubblicato il 23 Luglio 2015