Istat, presentato il rapporto annuale 2014 sulla situazione del Paese

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Quali risultati e indicazioni di policy dall’Istituto Nazionale di Statistica?

di Chiara Lodi Rizzini
05 giugno 2014

È stato presentato pochi giorni fa il Rapporto annuale Istat sulla situazione del Paese. Un rapporto che ci dà importanti indicazioni non solo per le scelte economiche ma anche per quelle sociali. Se la fase recessiva ha portato infatti a focalizzare l’attenzione generale sulle emergenze economiche del Paese, tuttavia una lettura prospettica in chiave demografica mette in luce che le emergenze sociali non sono da meno e richiedono interventi che non possono essere più rimandati. Tra i problemi più gravi un modello di welfare mediterraneo non più praticabile, perché basato su strutture familiari e su un ruolo della componente femminile ormai obsoleto; ineguaglianze di genere ma anche tra generazioni; una spesa sociale squilibrata, che destina più della metà delle risorse alla previdenza e molto poco alle famiglie e al sostegno al reddito.
L’età media degli italiani

La popolazione italiana continua a invecchiare. L’indice di vecchiaia del paese è tra i più alti al mondo: al 1° gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Se la buona notizia è che si vive sempre più a lungo, con una speranza di vita giunta nel 2012 a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne – gli Italiani sono tra i più longevi a livello internazionale -, questo trend non è compensato dalle nuove nascite.
Continua a calare infatti la propensione ad avere figli: nel nostro Paese persistono livelli di fecondità molto bassi, in media 1,42 figli per donna nel 2012 (media Ue28 1,58). Le donne italiane in età feconda fanno pochi figli (in media 1,29 per donna) e sono sempre meno numerose per via dell’uscita dall’esperienza riproduttiva delle “baby-boomers” e, più in generale, delle nate fino alla metà degli anni ’70. Ma anche le straniere – che negli anni passati hanno contribuito significativamente a incrementare il numero di nuovi nati – pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli delle donne italiane, riducono il proprio numero medio di figli (2,37 nel 2012).

Le nuove strutture familiari

Continua a crescere il numero dei nuclei familiari, + 7,6% dal 2003 al 2013, mentre diminuisce la loro dimensione, che si attesta nel 2011 a 2,4 componenti. Ma un nucleo più piccolo ha meno redditi su cui contare, finendo per ritrovarsi più facilmente in povertà. Ed ecco che emerge un dato nuovo: sempre più famiglie si ricompattano, con il rientro dei figli nei nuclei genitoriali dopo separazioni, divorzi, emancipazioni non riuscite o con la coabitazione con parenti. Una strategia di riorganizzazione messa in atto dalle famiglie con l’obiettivo appunto di fronteggiare la crescente fragilità dei percorsi di emancipazione dei loro membri e assicurare la sostenibilità economica in risposta alle attuali difficoltà, in particolare quelle legate alle spese abitative.
Un altro dato importante è che la rete di parentela si modifica, in seguito alle trasformazioni demografiche e sociali, diventando sempre più “stretta e lunga” e sarà quindi sempre meno in grado di fornire aiuti ai suoi membri più fragili. L’invecchiamento della popolazione comporta un aumento dei bisogni di cura da parte dei grandi anziani e per periodi della vita più dilatati ma, allo stesso tempo, diminuiscono le persone che possono offrire aiuto – soprattutto emerge una crescente difficoltà da parte delle donne a mantenere il ruolo di pilastro del welfare familiare. Quindi se il welfare familiare tipico del Sud Europa sta continuando ad attutire i colpi della crisi, è ragionevole dubitare che possa continuare a farlo in futuro.

Donne, verso un nuovo ruolo?

L’occupazione femminile cala ma molto meno di quella maschile (il calo è stato rispettivamente di -0,1% e -6,9% tra il 2008 e il 2013). La sostanziale tenuta dell’occupazione femminile è il risultato di un insieme di fattori: il contributo delle occupate straniere, aumentate di 359 mila unità, la crescita delle occupate con 50 anni e più (circa il 30% in più) e, infine, l’incremento di quante entrano nel mercato del lavoro per sopperire alla disoccupazione del partner. Aumentano, infatti, le famiglie con donne breadwinner, ovvero quelle in cui la donna è l’unica ad essere occupata.
Questi dati rivelano come il lavoro stia assumendo un valore importante nella vita delle donne italiane, che, evidentemente, faranno sempre più fatica a ricoprire quel ruolo di pilastro del welfare familiare di cui si sono fatte carico fino ad oggi, anche alla luce delle considerazioni fatte sopra. E’ quindi necessario ripensare radicalmente le politiche familiari e di cura: la conciliazione dei tempi di vita e lavoro continua a peggiorare – ad esempio, cresce la quota di donne occupate in gravidanza che non lavora più a due anni di distanza dal parto.

Fonte: secondowelfare.it

  • Articolo pubblicato il 9 Giugno 2014