Case, auto e scrivanie, agli italiani piace sharing

Ipsos: solo il 27% degli intervistati è contrario. Il consumo collaborativo non è solo per nerd

La crisi ha fatto il suo, ma dietro la sharing economy, la condivisione di beni e servizi, c’è qualcosa in più del bisogno di risparmiare per arrivare a fine mese. C’è la voglia di conoscere nuove persone e viaggiare, c’è la tecnologia che crea nuovi ponti e soprattutto c’è la consapevolezza che uno stile di vita improntato solo sul possesso personale non potrà funzionare ancora a lungo. Se ne sono accorti anche gli italiani se, come si legge da un’indagine commissionata a Ipsos da Airbnb e Blablacar, il 31% è interessato a utilizzare auto, case e spazi di lavoro in condivisione, l’11% lo fa già e solo il 27% è contrario.

Anche in Italia il consumo collaborativo non è più solo un affare da nerd, insomma. Sulla base di mille interviste condotte online nella fascia d’età 18-64 anni e due focus group tra Milano e Napoli, dall’indagine Ipsos è venuto fuori che il 75% degli intervistati ha sentito parlare di sharing economy. La fase dei pionieri è finita e le piattaforme italiane hanno ormai superato la soglia dei 250. «C’è un enorme potenziale di crescita», dive Fabio Era, che ha guidato la ricerca per Ipsos, «la maggior parte degli intervistati pensa che saranno pratiche che cresceranno in futuro».

sharing

La crisi economica
Una delle spinte è venuta certo dalla crisi economica, che ha «abilitato la condivisione di beni che già esistevano prima». Con i portafogli che si assottigliano, cambiano anche i comportamenti di consumo. Lo dichiarano l’86% degli intervistati, che nel 63% dei casi hanno ridotto o modificato le spese, soprattutto per l’auto, i consumi energetici, l’abbigliamento e il cibo. Il 12% degli intervistati, per esempio, almeno una volta al mese utilizza i gruppi di acquisto solidali e il ride sharing, mentre il 9% lo fa con il car e il bike sharing. Il ragionamento è semplice: non ho bisogno di una macchina o una bici tutta mia, ho bisogno solo di un passaggio.

Dalla proprietà privata alla condivisione, però, il percorso non è affatto lineare. L’ostacolo maggiore è la sfiducia verso uno sconosciuto da cui si accetta un passaggio o a cui si affida la propria casa per qualche giorno. Per questo «esistono tappe progressive», dice Era, «si passa prima attraverso circuiti protetti che sfruttano la fiducia ma anche il controllo esercitato dal micro circolo sociale. Un passo avanti sono i circuiti allargati attraverso un’esperienza con estranei, fino all’approdo al brand, come “facilitatore” che offre una modalità di contatto e una garanzia». Dal bisogno di risparmio come conseguenza della crisi, «viene fuori così un’alternativa al modello economico, con l’aggiunta di una dimensione valoriale, per cui scelgo la sharing economy anche perché penso che sia giusto».

La condizione economica, a guardare i profili degli affezionati, in effetti non è decisiva. I maggiori sostenitori del consumo collaborativo hanno tra i 18 e i 34 anni, vengono soprattutto dal Centro Sud, sono lavoratori autonomi, laureati e con un reddito mensile medio-alto (si va quindi oltre il bisogno economico). Dall’altra parte ci sono invece i detrattori, che provengono per lo più dal Nord Ovest, hanno un’età tra i 55 e i 64 anni e un reddito mensile medio basso.

sostenitori

Blablacar
«Le spese per la macchina sono spesso anche le più alte, per cui condividere la propria auto per molti è il primo passo per l’apertura al consumo collaborativo», racconta Olivier Bremer, country manager per l’Italia e la Germania di Blablacar, uno dei principali brand della sharing economy, che dal 2006 ha collezionato 8 milioni di iscritti in tutta Europa che così mettono a disposizione la propria macchina per condividere le spese di viaggio. La maggior parte degli utenti della piattaforma è composta da persone che si spostano molto in lungo e in largo, e che nel 96% dei casi usano l’automobile con una media di 4,8 volte alla settimana. «È una percentuale elevatissima», spiega Bremer, «che unita al fatto che in media ogni auto viaggia con 2,5 posti liberi, dimostra quanto sia significativo il potenziale del ride sharing in Italia». Gli italiani che accettano un passaggio online tramite Blablacar hanno tra i 30 e i 44 anni, sono nella maggior parte dei casi uomini e lavoratori dipendenti. Oltre agli utenti, i i più propensi a usare il servizio sono i giovani del Sud e delle isole rispetto ai ragazzi del Nord. Non a caso, tratte come Roma-Bari sono ormai tra le più popolari su Blablacar, con una partenza ogni pochi minuti. Le donne, in particolare, non vedono di buon occhio condividere l’auto con uno sconosciuto perché pensano che sia pericoloso. Molto distanti restano anche gli over 55 e, a sorpresa, i residenti nel Nord Italia.

Airbnb
Se l’auto è la prima cosa che gli italiani mettono in condivisione, l’altro bene per eccellenza resta la casa. La californiana Airbnb anche in Italia ha messo a disposizione la sua piattaforma per tutti coloro che vogliono condividere il proprio appartamento o prenotare un alloggio in tutto il mondo. In pochi anni per la società di San Francisco il mercato italiano è diventato il terzo a livello mondiale dopo Stati Uniti e Francia con 65mila annunci e una media di 12mila persone che ogni giorno soggiornano tramite Airbnb. Il vantaggio economico resta la motivazione principale (per 89% degli intervistati) dietro la scelta di un alloggio in condivisione. «Ma anche l’idea di alloggiare in quartieri che di solito non offrono servizi e alberghi», spiega Matteo Stifanelli, country manager per l’Italia, «è una motivazione importante. C’è il valore aggiunto di guardare una città con gli occhi di chi vive in quel posto».

Il profilo degli utilizzatori rispecchia quello degli utenti di Blablacar: giovani, lavoratori indipendenti e laureati. Anche in questo caso, tra quelli che si dicono propensi, prevalgono i meridionali rispetto ai settentrionali. «Quelli che non sono interessati», continua Matteo, «ne fanno soprattutto una questione di fiducia: pensano che la condivisione della propria casa o di terzi non sia sicura. Il meccanismo del feeddback, per questo motivo, è di primaria importanza. Proprio per evitare il double blind, cioè il vincolo di dover lasciare una recensione positiva per evitare che poi l’altro lasci per te una recensione negativa, abbiamo dato la possibilità di scrivere la recensione 15 giorni dopo il soggiorno in modo da avere review più veritiere».

Il valore economico della sharing e le regole da scrivere
Condivisione sì, ma il consumo collaborativo è anche un bacino economico in via di sviluppo. Il valore di Airbnb, ad esempio, avrebbe già raggiunto i 10 miliardi di dollari. E con la crescita del valore economico crescono anche le polemiche, esplose soprattutto attorno alla app Uber, in particolare dopo il lancio a Milano del servizio low cost Uberpop, che permette a chiunque abbia un’auto di diventare un autista.

«Che oltre alla condivisione ci sia anche un guadagno da parte delle piattaforme è un dato di fatto», dice Stifanelli, «altrimenti non si parlerebbe di sharing economy». «Il problema non è il guadagno da parte della piattaforma», aggiunge Bremer, «ma nel caso di Uberpop è il guadagno per chi guida. Una cosa è la condivisione delle spese di un viaggio che devo fare, un’altra è che ci siano persone che viaggiano solo per caricare altre persone».

Tirare le fila di un mondo così variegato e ancora in fase di definizione è difficile, soprattutto se vogliamo inquadrare queste piattaforme con leggi e norme scritte quando social e smartphone erano ancora fantascienza. Le critiche, da parte di corporazioni e associazioni di categoria tradizionali, restano la questione fiscale e il rispetto delle regole. Anche Airbnb più volte è finita nel mirino di albergatori ed enti locali di tutta Europa, che hanno accusato la piattaforma di concorrenza sleale. «Noi diciamo ai nostri utenti di pagare le tasse su quello che guadagnano», ripete Stifanelli, «ma di certo non possiamo fare controlli fiscali. Per questo chiediamo alle istituzioni che si arrivi a delle linee guida di modo che il cittadino che affitta per un breve periodo la sua casa sappia in maniera semplice come comportarsi».

Fonte: linkiesta.it

  • Articolo pubblicato il 3 Luglio 2014