Partecipazione femminile al lavoro, Italia terz’ultima tra i paesi Ocse

L’Italia ha bisogno di migliorare le politiche per la famiglia e di una maggiore partecipazione degli uomini al lavoro domestico. Nel 2010 erano donne il 59% dei laureati italiani, ma la presenza femminile cala tra le migliori specializzazioni
 

BRUXELLES – Come nella maggior parte dei paesi Ocse, in Italia nelle ultime generazioni le donne hanno risultati migliori degli uomini negli studi. Nel 2010, il 59% dei laureati italiani erano donne, ma la presenza femminile cala tra le specializzazioni che offrono migliori opportunità nel mondo del lavoro: 15% tra i laureati in scienze informatiche e 33% tra i laureati in ingegneria. All’età di 15 anni, queste professioni attirano più del 20% dei ragazzi italiani ma meno del 5% delle ragazze.
L’Italia è il terz’ultimo paese Ocse, davanti a Turchia e Messico, per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media Ocse del 65%. Meno del 30% dei bambini italiani al di sotto dei tre anni usufruisce dei servizi all’infanzia e il 33% circa delle donne Italiane lavora part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari (la media Ocse è 24%). Il tempo dedicato dalle donne italiane al lavoro domestico e di cura – in media 3,6 ore al giorno in più rispetto agli uomini – limita la loro partecipazione al lavoro retribuito.

Una maggiore partecipazione femminile al lavoro non solo aiuta a sostenere il reddito familiare, ma contribuisce anche a mitigare la pressione che deriva dall’invecchiamento della popolazione. Le proiezioni Ocse mostrano che – a parità di altre condizioni – se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l’anno.
Le differenze di genere nei salari, nel settore di occupazione e nella progressione professionale sono meno pronunciate in Italia che in altri paesi Ocse poiché, più che altrove, le donne con salari più bassi hanno maggiore probabilità di lasciare il mercato del lavoro. Nel 2010 le donne erano un terzo dei manager e, nel 2009, il 7% dei membri dei consigli di amministrazione delle aziende quotate (media Ocse 10%). Le donne italiane continuano inoltre ad essere una minoranza tra gli imprenditori e si concentrano in imprese di piccole e medie dimensioni: nel 2010 il 22% degli imprenditori con lavoratori dipendenti erano donne, ma il loro reddito era solo la metà di quello degli uomini nella stessa categoria.

Le recenti riforme varate in Italia sulla composizione dei consigli di amministrazione promuovono una maggiore uguaglianza di genere, alla quale dovrebbe contribuire – secondo l’Ocse – anche l’introduzione del congedo di paternità retribuito e obbligatorio. L’introduzione dei voucher attribuiti alle madri lavoratrici che riprendono l’attività lavorativa, in alternativa al congedo parentale, oltre ad offrire ai genitori lavoratori più scelta per la cura dei figli, potrebbe portare ad una più equa distribuzione del lavoro retribuito e non retribuito tra uomini e donne. Tuttavia l’effetto complessivo della riforma deve essere valutato anche sulla base dei tagli ai fondi pubblici allocati per i servizi all’infanzia, che si aggiungono ad una probabile riduzione nella cura informale fornita dai nonni legata all’innalzamento dell’età di pensionamento. Il contributo che le donne italiane potranno dare al mondo del lavoro, alla sicurezza economica delle famiglie e alla crescita dell’economia – conclude l’OCSE – dipenderà anche dalla misura in cui gli uomini italiani saranno pronti a contribuire al lavoro domestico e alla cura della famiglia.

Fonte: dirittiglobali.it

  • Articolo pubblicato il 18 Dicembre 2012