Paralimpiadi. Londra senza barriere, città modello per accessibilità e urbanistica

Da anni nella città di Londra si sperimentano nuovi modelli di accessibilità e inclusione urbanistica. Questione di leggi, ma anche di cultura e di buon senso. A vantaggio di tutti, disabili ma anche genitori con passeggini e viaggiatori con trolley

Ingressi senza gradini, rampe di comoda pendenza, porte ampie o automatiche, ascensori al posto delle scale: a Londra è la normalità, e non da oggi. Negli ultimi 40 anni in città si è “registrato un profondo cambiamento nell’idea stessa di inclusione, tanto da inserire il requisito dell’accessibilità degli edifici all’interno del Regolamento edilizio”. Un’attenzione che non è limitata alla semplice realizzazione fisica degli edifici, ma che si esprime in un mutamento culturale a 360 grandi che fa oggi della capitale britannica una città modello in questo tempo. La pensa così l’architetto Stephen Thorpe, da anni impegnato nella costruzione di una cultura dell’accessibilità e autore del volume Wheelchair Housing Design Guide, una guida su come progettare una casa per persone in sedia a ruote. Intervistato da SuperAbile Magazine, il mensile legato al portale dell’Inail sulla disabilità, Thorpe passa in rassegna la situazione attuale e descrive la città dal punto di vista dell’accessibilità e dell’inclusione.

“E’ stato un progresso graduale dagli anni Settanta a oggi, dovuto in parte alla legislazione e in parte a un crescente cambiamento culturale”, dice. Chi realizza edifici e fornisce servizi “ha l’obbligo di garantire che le persone disabili non siano svantaggiate”. Negli ultimi quattro decenni “si è registrato un profondo cambiamento nell’idea stessa di inclusione” con un grande cambiamento culturale: “oggi si è convinti che tutti possano trarre beneficio dagli spazi e dalle aree accessibili. Non solo le persone disabili, dunque, ma anche i genitori con passeggino, coloro che camminano col bastone e i viaggiatori con il trolley. Siamo passati dal semplice superamento delle barriere architettoniche al concetto più ampio di progettazione inclusiva, che dà benefici a tutti, disabili e non”. I luoghi che ospiteranno gli atleti delle Paralimpiadi diventeranno “un quartiere residenziale, in grado di esprimere tutta la filosofia progettuale del lifetime housing, secondo la quale un alloggio risulta non solo accessibile, ma anche adattabile a particolari disabilità che possono insorgere col tempo”. “E’ vero – dice Thorpe – che ancora ci sono edifici dotati di lunghe rampe su un lato, ma si tratta di un approccio vecchia maniera: in passato, prima si progettava un edificio, poi si pensava a come renderlo accessibile. Oggi, invece, progettiamo secondo principi più inclusivi e non parliamo più di un edificio o di un ingresso accessibile. Ci limitiamo a dire: «Questo è l’ingresso, entriamo tutti da qui». Sembra un concetto ovvio, ma in realtà è molto difficile farlo accettare da tutti”.

In questo progresso culturale ha giocato un ruolo importante la figura dell’access officer, “il funzionario dell’accessibilità”, che ha “un ruolo ufficiale all’interno degli enti locali e dei Consigli municipali”. Egli è “autorizzato a visionare i progetti in qualsiasi fase e a monitorarne lo sviluppo”, occupandosi anche “del controllo e della valutazione degli edifici in termini di accessibilità: come si parcheggia, come si percorre la strada dalla fermata dell’autobus, come si accede, come si utilizzano i servizi e gli spazi, come debbano essere evacuati in caso di emergenza”. Certo, neanche in Gran Bretagna tutte le città si sono dotate di una simile figura, ma “quando c’è lo si scopre subito: basta guardare gli edifici e il modo in cui sono stati realizzati”.

Fonte: superabile.it

  • Articolo pubblicato il 28 Agosto 2012